Le lacrime commosse di Salvatore (Jacques Perrin), da solo in una sala cinematografica di fronte al montaggio di tutti i baci dei film della sua vita non è solo l’apice, il momento più toccante di Nuovo cinema Paradiso (1988), ma una delle sequenze più celebri del cinema internazionale. In quella sequenza, per questo rimasta così impressa, il Premio Oscar Giuseppe Tornatore racchiudeva uno degli aspetti essenziali dell’esperienza cinematografica: la consapevolezza di un’intimità inedita dalla doppia natura, privata e pubblica.
Privata, perché appartenente al singolo spettatore che sulla poltrona rivive emozioni attraverso lo schermo del sogno, specchio dei propri desideri, come avrebbe detto il semiologo e critico francese Christian Metz. Pubblica perché condivisa in uno spazio collettivo, con persone sconosciute che tuttavia si riconoscono a vicenda.
Il corpo in sala, le sue emozioni e le sue lacrime sono sempre protagonisti di una proiezione al pari del film, solo dal lato opposto. Il mezzo per definizione audiovisivo comprende perciò sempre un terzo senso, il tatto, stimolato attraverso suoni e immagini ogni volta che un’opera arriva sulla pelle e l’attraversa.
Hollywood questo lo sa bene e nel tempo ha sviluppato – soprattutto durante il suo periodo classico (dagli anni Venti agli anni Sessanta) – uno schema fisso di struttura delle sceneggiature, in cui al di là del genere è sempre presente una “linea romantica”, una storia d’amore in cui il pubblico possa immedesimarsi, sentire il fremito di un innamoramento, il brivido di un contatto.
Avere un corpo in relazione con la storia e con il pubblico, tuttavia, non è sempre semplice per gli attori e le attrici, soprattutto quando la narrazione richiede un coinvolgimento forte dal punto di vista psicologico. È il motivo per cui da anni sui set, per lo più statunitensi, esiste una figura chiamata “coordinatore di intimità”, con il compito di assistere alle scene più delicate o che rappresentano rapporti sessuali.
Parola chiave rimane sempre il consenso, soprattutto dopo il movimento #MeToo, e la presenza di una persona qualificata, in grado di assistere gli interpreti e garantire un ambiente sicuro è diventata fondamentale nell’industria, anche se non più insostituibile.
L’evoluzione della tecnologia di animazione e computer-grafica ha infatti aperto prospettive inedite ai registi, offrendo un nuovo uso delle tecniche CGI già esistenti. Anziché ricreare esplosioni letali o mondi di fantasia, gli effetti speciali di ultima generazione sono in grado di mettere in scena baci mai girati, agevolando le richieste che in questi casi provengono proprio dagli interpreti o da esigenze creative.
Il caso di cui si discute di più da settimane è quello di You People, una commedia romantica di Netflix con protagonisti Jonah Hill e Lauren London, divenuta poi di fatto una commedia intergenerazionale e interculturale incentrata su Hill ed Eddie Murphy, il “padre della sposa”.
Almeno nelle premesse You People voleva essere la storia di due persone senza niente in comune, un giovane uomo ebreo e una giovane donna afroamericana, che si conoscono per caso, si innamorano e decidono di sposarsi nonostante le divergenze fra loro e fra le due famiglie. Una buona idea che si perde nella fase del casting, in cui non solo i personaggi ma gli interpreti stessi non riescono a trovare punti di contatto, risultando freddi, distanti e in effetti poco presenti insieme sulla scena. Per ovviare alla scarsa chimica fra i protagonisti, la regia sceglie di sostituire il bacio finale, ossia il climax di ogni rom-com tradizionale, con un bacio in CGI, ricreato in post-produzione. Il risultato è credibile, anche se ancora imperfetto.
Non serve essere esperti di grafica o effetti speciali per notare la poca naturalezza dell’intera scena, della prossemica dei corpi e della rigidità di un bacio fin troppo casto e delicato per il tipo di film visto fino a quel momento. Eppure, se non fosse stato uno degli attori secondari della scena a rivelare l’uso del CGI durante un’intervista, nessuno spettatore avrebbe potuto dire con certezza che quel bacio non c’è mai stato davvero.
Una simile decisione pone il precedente per qualsiasi altra scena di intimità o quotidianità che gli attori potrebbero rifiutare di girare, ridefinendo però così anche il confine della loro professione. Già alcuni grandi attori come Denzel Washington si oppongono a qualsiasi parte che preveda nudi, scene di sesso o baci troppo appassionati con un o una co-protagonista. Si tratta di una scelta morale, spesso legata alle rispettive relazioni private da tutelare. Oggi però assume una sfumatura di senso ulteriore, perché non si tratta più di porre delle condizioni, ma di lasciare fare alle macchine e alla tecnologia ciò che non si è disposti a fare in prima persona. Fino a dove è lecito fingere, interpretare, giocare (per riprendere l’accezione inglese del termine recitare) e dove invece inizia la sfera personale dell’interprete è un confine che il cinema del prossimo futuro sta già ridefinendo.
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