La magia impagabile del teatro è la capacità di rendere visibile, l’invisibile, di stupire, affascinare lo spettatore al punto da fargli sgranare gli occhi dalla sorpresa, tenerlo col fiato sospeso sulle poltrone di velluto, illudendolo, solo attraverso l’uso della parola, di qualcosa che non esiste. È la bellissima menzogna e irrealtà nella quale, anche solo per qualche ora, si decide di credere. Il regista Ferdinando Ceriani riesce perfettamente nell’intento, con il suo adattamento di La vita al contrario – il curioso caso di Benjamin Button, al teatro Ghione fino a domenica 26 febbraio.
Lo spettacolo è preso dall’omonimo romanzo di Francis Scott Fitzgerald da cui è stato tratto anche un famoso film con Brad Pitt e Kate Blanchett. «Noi ci siamo ispirati al romanzo di Fitzgerald più che al film. Mentre l’opera Hollywoodiano è concentrato sulla storia d’amore tra i due protagonisti, nel romanzo noi ripercorriamo tutta la vita di questo personaggio, di questo caso straordinario di un uomo che nasce vecchio e muore bambino».
La trama di La vita al contrario – il curioso caso di Benjamin Button
Un ticchettio d’orologio a luci spente, sempre più forte, sempre più incessante. Un climax ascendente che accompagna l’ingresso del protagonista. I faretti del teatro si accendono al ritmo di una ninna nanna, lenta, malinconica. È il tempo che si presenta inesorabile: Benjamin Button sta morendo.
Il testo si basa sull’adattamento teatrale di Pino Tierno che ricolloca la storia in Italia, «Il nostro Benjamin Button si chiama Giovannino Cotone, detto Nino». La vicenda è ambientata alla fine dell’Ottocento e ripercorre le principali fasi storiche della vita contemporanea per terminare agli inizi degli anni Sessanta del Novecento. «Per segnare questo passaggio di tempo, mi sono divertito a ripercorrere le musiche di questo percorso storico. Da fine ottocento arriviamo alle prime canzoni di Mina. Questo strano viaggio a ritroso lo seguiamo nella colonna sonora dello spettacolo».
L’analisi di La vita al contrario – il curioso caso di Benjamin Button
Nino Cotone, interpretato da uno splendido Giorgio Lupano, si presenta al pubblico con la sua valigia e una pila di fogli. Sono i suoi ricordi, la sua vita che sta finendo. Lo sa bene lui, Nino, ne sente l’instabilità, la precarietà. Ha poco tempo e allora decide di raccontare al pubblico i momenti più importanti della sua vita, per quell’unico desiderio che accomuna tutti gli uomini: essere ricordati dopo la morte. «Tutti abbiamo una vita speciale, ciascuno a suo modo. Se è vero che la memoria dà l’immortalità io voglio cercare di non morire nella vostra memoria».
«Il film Hollywoodiano vinse anche il premio Oscar per gli effetti speciali. Chiaramente nel teatro non ci sono, ma abbiamo il racconto e la parola. La vera sfida era proprio questa, mettere in scena un testo che vive grazie agli effetti speciali. Qui c’è la bravura del protagonista che è Giorgio Lupano. Non soltanto interpreta questo cambiamento con il tono della voce, la postura del corpo. Un semplice oggetto scenico come il bastone muta il personaggio e interpreta anche tutte le diverse parti e i diversi incontri che lui avrà durante la sua vita».
Giorgio Lupano si esibisce in un monologo di un’ora e dieci senza pause, senza cambi scena o d’abito. Mai noioso, mai banale, il testo portato al teatro Ghione è in grado di immergere il pubblico in un tour di emozioni: dalla risata, alla compassione, dall’angoscia, alla malinconia. «Credi che questa leggerezza, questo rossore sulle tue labbra dureranno per sempre. No, diventerai vecchio. Io lo so, ci sono già passato».
Interpreta più di dieci personaggi, alle volte solo con l’uso di un fazzoletto, un bastone, un foglio, senza mai destare nello spettatore il minimo dubbio, la minima confusione. «Sono uno di quei casi in cui l’apparenza conta più dei fatti».
Ci crede, il pubblico, segue ogni gesto, ogni cambio tono, ogni caratterizzazione del personaggio con posture diverse e cambi di tono. Lupano mostra le sue egregie capacità attoriali, senza mai tradire la magia della finzione scenica, nemmeno quando il microfono lo tradisce per un problema tecnico (alla faccia di Blanco).
Tale è il coinvolgimento, il connubio indissolubile tra chi recita e chi ascolta, che anche un semplice colpo di tosse stona e rovina la magia in scena. Alla prima, e quasi unica, pausa del protagonista il pubblico prorompe in uno spontaneo e atteso applauso.
«Ad accompagnare Nino Cotone in questo viaggio onirico c’è una figura femminile che è la donna fondamentale nella sua vita che in un momento è balia, in un momento è infermiera quando sta per nascere, in un momento è Bettina la donna della sua vita, in un altro sono le sue amanti negli anni della giovinezza, quando si apre completamente alla vita anche se ha ormai sessant’anni nel suo percorso cronologico del tempo».
Di Elisabetta Dugatto si apprezza l’incredibile leggiadria e la soave voce. Ballerina eccelsa, il suo canto diviene la colonna sonora dello spettacolo. Eppure, come una Ariel disneyana, appare in scena senza battute, mimando le frasi dettate dal protagonista. Unica pecca dello spettacolo, forse, un dispiacere avere un’attrice così brava in scena e non sfruttarla anche per una semplice battuta, che non avrebbe alterato il monologo di Lupano.
Nino Cotone come Caravaggio il maledetto?
Lo scorso mese il regista Ferdinando Ceriani ha portato sempre al teatro Ghione l’opera Caravaggio il maledetto. Lo spettacoloinizia allo stesso modo, con il protagonista morente. Questa angoscia dello scorrere del tempo, questo ripercorrere in maniera cronologica la vita del personaggio, accomuna in qualche modo Caravaggio e Nino Cotone. Entrambi, inoltre, sono accompagnati da una figura femminile che è per loro centro, fulcro, guida, amore.
«Il romanzo di Fitzgerald inizia così, a ritroso, mentre per Caravaggio l’adattamento è stata una mia intuizione, ma per entrambi c’è questo concetto: si dice che quando si sta per lasciare questa terra si ripercorra, anche in modo magico e onirico, molti eventi della nostra vita e questo aiuta molto a teatro in cui si usa un linguaggio allusivo, non realistico».
«Spero che quando lo spettatore vedrà Il curioso caso di Benjamin Button potrà trovare momenti della propria vita personale. Perché alla fine si racconta una vita normale, ha solo questa stranezza che nasce anziano e muore giovane». Queste suggestioni arrivano, nelle gioie e nei dispiaceri di Nino: nel non sentirsi accettati, nella delusione del non essere all’altezza, nello slancio vitale giovanile tra feste e amici, nella gioia impagabile di vincere una partita di calcio con il pubblico in delirio. «Le gioie dei 16 anni non le ho mai provate fumando il sigaro con mio padre, o con il successo dell’azienda. Forse solo quando ho capito che non avrei usato mai più il bastone».
«L’emozione che mi ha dato lo spettacolo è proprio capire come la vita corre veloce e ci sfugge tra le dita. “Io che cerco di afferrare una vita” dice Nino. Queste nostalgie che ha il protagonista, dei ricordi che si perdono, penso appartengano a tutti. Spero che uno spettatore che esce da questo teatro, si dica “bisogna viverla a pieno la vita. Non perdere neanche un ticchettio d’orologio”, che è quello che sentiamo all’inizio, a metà e alla fine dello spettacolo, e che scandisce un tempo implacabile che da una parte è angosciante, ma dall’altra ci urla “viveteli a pieno questi secondi, questi minuti, questi anni”».
Leggi anche: Il legame tra Carnevale e commedia dell’arte