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Esclusiva

Marzo 10 2023
My Soul Summer, crescere e «rivendicare il proprio sguardo sul mondo»

Fabio Mollo presenta il suo terzo lungometraggio alla giuria del Premio Globo d’oro

I wish I knew how it would be to be free, vorrei sapere come ci si sente a essere libera, cantava Nina Simone ed è con queste note e con queste parole che Fabio Mollo sceglie di introdurre la storia di Anita (Casadilego), protagonista di My Soul Summer.

Una ricerca di identità, un coming-of-age che fa della musica il suo punto focale, lo strumento attraverso cui guardare dentro sé. Anita è una pianista classica, adolescente, della Roma ricca e borghese. Per l’esame del Conservatorio è costretta a passare l’estate dalla nonna (Lunetta Savino) a Locri (Reggio Calabria). Un viaggio che non avrebbe voluto fare si trasforma in un’esperienza intensa, in cui finalmente Anita inizia a definire se stessa.

Fabio Mollo, regista dall’impronta molto personale, è da subito sincero: «Non è stata una mia idea, a differenza dei due film precedenti (Il sud è niente e Il padre d’Italia, ndr), che nascevano da storie vissute in prima persona. Mi è arrivato un soggetto e ne sono rimasto colpito per due motivi: era tantissimo tempo che desideravo fare una storia che riguardasse la musica, inoltre aveva tutti gli elementi che riguardano le mie storie, ossia un personaggio femminile forte, un “romanzo di formazione”, una scoperta di sé che il personaggio deve affermare e infine l’ambientazione in Calabria».

Quest’ultima in realtà è una dei diversi punti di riscrittura a cui è stato sottoposto il soggetto di My Soul Summer prima di arrivare sul set: «È diventato un film molto mio, abbiamo lavorato tanto per riportarlo ancora di più verso qualcosa che fosse personale, l’idea di un’adolescente che trova la propria voce non solo perché deve cantare ma perché deve trovare la forza di dire quello che vuole dire. Lo trovo bellissimo e mi ricorda quando io ho dovuto trovare la mia voce»

Come è frequente nel cinema d’autore, nei film di Mollo ricorre infatti un tema fondante che è proprio l’affermazione di un’identità: «Sono nato nella periferia sud di Reggio Calabria e se nasci a Reggio Calabria fare il regista non è proprio la cosa più facile o la prima che ti viene in mente da fare. Per me è stato più complicato dire alla mia famiglia che volevo fare il regista che dirgli che ero gay. L’idea di rivendicare uno sguardo sul mondo ha molto a che fare con i miei personaggi»

Una volta compreso come dialogare dal punto di vista creativo e artistico con il soggetto di My Soul Summer la sfida più grande è giunta nel tenere insieme tutti gli elementi necessari a realizzarlo. Con un budget di un milione di euro (basso rispetto alla media produttiva italiana) la maggiore difficoltà economica è stata la musica, sia perché era essenziale non rinunciare a Nina Simone e agli storici brani soul e blues che definiscono il percorso di Anita, sia perché Anita stessa è stato un personaggio complesso da plasmare.

«Una cosa che secondo me era importantissima per il film è che la musica fosse dal vivo, perché cambia tutto, la recitazione passa attraverso il canto, come Anne Hathaway in Les Misérables, quindi una grande complicazione è stata trovare un’attrice di diciotto anni che sapesse cantare, suonare Chopin e avesse una fisicità giusta per il ruolo. Ci siamo imbattuti in Casadilego che conoscevo da X Factor e ho sentito una fortissima connessione emotiva e artistica con lei, ma non aveva mai recitato». Dopo una lunga preparazione, sei mesi con un coach e quattro con Mollo, il «vero regalo che ha fatto al film» secondo il regista resta la sua sincerità, che è emersa in numerose improvvisazioni, poi mantenute nel montaggio finale proprio per la sua spontaneità.

Elisa Coclite, in arte Casadilego, assume quindi la responsabilità di un personaggio che trascina il film intero, sempre dal suo punto di vista univoco, nonostante un co-protagonista straordinario come Tommaso Ragno, che porta in scena un affascinante mix fra «Iggy Pop, Manuel Agnelli e Zucchero» nel ruolo di Vinz, la rockstar-mentore musicale di Anita. L’unica vera eccezione, in cui la regia permette di lasciare per un momento la mente e i pensieri di Anita è nel pre-finale, quando viene delineato con più precisione il contesto in cui la ragazza si è immersa per un’estate intera. Vittore (Luca Zunic), testimone silenzioso e in disparte, da semplice personaggio secondario pensato in funzione del filone romantico del film, acquista una profondità nuova quando torna nel carcere in cui ha vissuto da bambino per assistere al matrimonio dei suoi genitori.

«Sentivo che su questa parte della storia di Vittore si doveva creare il legame con il personaggio di Anita, il punto di contatto doveva essere questa loro diversa reclusione, la solitudine, il sentitisi alienati seppur per motivi diversi». Per raccontare l’alienazione di lui, entrare in carcere – nel vero carcere di Catanzaro – per Mollo è stato essenziale, anche se assente dal soggetto iniziale. Lo è stato ancora una volta per motivi legati all’esperienza che rende il suo cinema così personale e al periodo trascorso a insegnare cinema nel carcere di Reggio Calabria. «Solo entrando lì cambia tutto nel film, cambia la nota, cambia il tuo sguardo su Vittore perché cambia quello di Anita su di lui. Dà tridimensionalità alla storia e andava fatto a costo anche di rallentare il racconto, perché se parliamo di una realtà sociale ben definita (i bambini in carcere, ndr) bisogna farlo con rispetto, senza edulcorare o alleggerire».

Con questa scelta, più drammatica per il sottotesto che implica, ma al tempo stesso gioiosa perché permette di creare il vero legame fra Anita e Vittore si conclude l’arco narrativo che porta la protagonista a cambiare visione di sé nell’arco di una sola estate. È un passaggio essenziale che culmina nella felicità di potersi mostrare al mondo: Anita impara davvero cosa vuol dire essere libera. Lo canta. E Nina Simone sarebbe fiera di lei.

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