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Esclusiva

Marzo 19 2023
Il fascino contradditorio del gangster

Antonio Monda presenta al Maxxi il suo romanzo “Il numero è nulla”, nono volume della decalogia Mondadori dedicata a New York

Carlo Verdone, Paolo Taviani, Matteo Garrone si confondono nell’affollato auditorium del Museo nazionale delle arti del XXI secolo (Maxxi) insieme a Valerio Carocci e ai Ragazzi del Cinema America, perché quando a Roma si affaccia Antonio Monda il cinema e la città rispondono nell’immediato. L’occasione è la presentazione del romanzo Il numero è nulla, nono volume dei dieci dedicati dal giornalista e professore alla città che lo ha accolto circa trent’anni fa, New York. Mondadori ne farà presto una raccolta unica, un libro per ogni decennio, per raccontare il Novecento americano e l’immaginario che, anche in Europa, si tramanda attraverso la letteratura, la cultura popolare e, certo, anche i film.

C’è qualcosa nella cifra stilistica di Monda che subito ricorda la grammatica cinematografica, i dettagli ricchi di particolari, le immagini vivide descritte dalle sue parole, soprattutto in una storia – come Il numero è nulla – in cui centrale è la violenza del gangster, di un assassino freddo e distaccato che si trova a raccontare la sua vita in prima persona. C’è soprattutto Francis Ford Coppola, «Cotton Club più che Il padrino», afferma Monda a Zeta, «Ho tentato di distaccarmene sia perché il modello è talmente alto che è ridicolo tentare di imitarlo, sia perché essendo una forma diversa da quella letteraria ho cercato di andare in un’altra direzione, però sarebbe folle negare che non ho visto il Cotton Club quando lo descrivo o pensato a Il padrino quando racconto di Bugsy Siegel».

Il numero è nulla è infatti ambientato negli anni Trenta, anni di forti contraddizioni a New York, quando le luci del New Deal contrastano con le ombre della criminalità organizzata. Bugsy Siegel, gangster realmente esistito e che ha ispirato numerose rappresentazioni, tra cui il Moe Greene in Il padrino, è il boss del protagonista, soprannominato il Vescovo. Tutto viene raccontato dal suo punto di vista, «non sappiamo il suo nome, non lo so nemmeno io», rivela l’autore, e questo crea quel meccanismo di identificazione che non permette mai di astrarsi dalla voce narrante.

«C’è uno spazio, tra il gesto e la coscienza, che genera pietà e impedisce di giudicare», afferma il teologo e gesuita Antonio Spadaro, che ha moderato la presentazione del romanzo insieme allo scrittore Antonio Funiciello. Sacralità – della vita e della morte – e violenza diventano i temi essenziali, in una città che fa della sua spietatezza una caratteristica determinante: «è sporca, cattiva, ma meravigliosa. Molti dei suoi aspetti più affascinanti nascono da una commistione assurda fra mostruosità e bellezza».

La stessa commistione definisce anche il Vescovo protagonista, uomo cupo, oscuro, che pur non sembrando un personaggio irrisolto si interroga a suo modo sul senso dell’esistenza e viene salvato dall’incontro con l’amore. Si rispecchia tanto nell’abisso di quel verso di Bob Dylan che dà il titolo al romanzo – black is the colour, none is the number, tanto nell’immagine scelta da Monda per la copertina. È una sezione di New York Movie, quadro di Edward Hopper (1939), quella che rappresenta una donna assorta nei pensieri, alla luce della lampada di una sala cinematografica, «perché nella mia follia ho avuto l’ardire di dare vita a questo personaggio, questa donna a cui ho dato nome, cognome e una storia». Éimhear, si chiama, ed è la «Beatrice nei panni di Virgilio», per usare l’espressione scelta da Spadaro, colei che riesce ad amare nonostante l’orrore e lo sgomento che prova per l’assassino che ha di fronte. Colei che – in un gioco di rimandi tra il fascino di New York e quello dell’antieroe protagonista – riesce a vedere l’uomo in tutte le sue contraddizioni e la meraviglia anche dentro la spietata mostruosità.

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