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Esclusiva

Marzo 28 2023
Musica, ora suona l’algoritmo

L’intelligenza artificiale produce e suona interi album. Il futuro della composizione è ibrido

La musica sta cambiando. Dopo la rivoluzione delle piattaforme di streaming – che hanno portato l’intero mercato a reinventarsi e le canzoni a slegarsi dai supporti fisici – il settore musicale sta facendo i conti con l’intelligenza artificiale generativa. Melodie, voci e jingle creati da macchine stanno popolando le piattaforme e si moltiplicano gli esperimenti. Molti artisti la vedono come un’opportunità, molti altri come una minaccia. Per Andrea Chenna, oboista e compositore appassionato di machine learning, si tratta semplicemente di un nuovo mezzo con cui fare i conti. «L’interazione tra uomo e macchina nel produrre musica è esaltante», dice Chenna, che l’ha sperimentata con una sonata digitale creata da un algoritmo su sue indicazioni. “Lili”, così si chiama la composizione, è stata poi suonata da musicisti reali in diversi spettacoli e il pubblico «non riusciva a credere quella musica fosse stata scritta da un calcolatore».

L’incontro tra musica e intelligenza artificiale, in realtà, è storia vecchia. Già alla fine degli anni Cinquanta, il compositore americano Lejaren Hiller Jr. e il matematico Leonard Isaacson, pubblicarono il primo libro sull’argomento intitolato “Experimental Music: Composition with an Electronic Computer”. Con il progresso tecnologico degli ultimi anni i tentativi hanno raggiunto livelli mai visti prima, sia per il numero che per la qualità delle produzioni. Da “Hello, world” dell’avanguardista francese Skygge, a “Wind Down” di James Blake (primo disco costruito con l’AI a essere pubblicato da una grande casa discografica), passando dal visionario “Proto” di Holly Herndon, un’innovativa artista statunitense che è stata la prima a utilizzare le reti neurali per il canto e che di recente, grazie all’AI, ha creato Holly+, un suo clone vocale disponibile online in modo che tutti possano sperimentare. Il compositore e ricercatore Oded Ben-Tal, invece, è riuscito a creare un software in grado di suonare contemporaneamente a un pianista, ascoltando la musica e accompagnandolo, improvvisando le note come farebbe una persona in carne e ossa.

«Fino a pochi anni fa, tutto questo era inimmaginabile», riprende Andrea Chenna. Quando hanno eseguito “Lili” in pubblico e ha detto come era stata creata «in tanti non ci credevano. Il che è buffo. Di solito la gente fa il contrario, cioè si fa fare le cose dalle macchine e poi dice che è roba sua. Io dico che è fatta dalle macchine e non mi credono. Dicono, “non è possibile, c’è troppa anima, troppa sensibilità». Il punto sta proprio nell’interazione, secondo il compositore. La ballata era comunque suonata da musicisti reali e lo stesso processo creativo è ibrido. Era lui che sceglieva quali passaggi inventati dall’algoritmo potevano essere interessanti e chiedeva di svilupparli meglio. «Il bello della macchina è che non ha pregiudizi, ti manda fuori delle cose stupefacenti, un po’come fanno i bambini. Il suo contributo è la purezza, ma l’intuito resta quello umano».

A pochi mesi dall’esperimento di Chenna il panorama è già cambiato radicalmente. Ora l’intelligenza artificiale genera intere tracce musicali partendo da semplici descrizioni testuali. La qualità è ancora lontana da quella umana, ma molti artisti sono preoccupati che il loro lavoro venga copiato o soppiantato. «Si tratta di cose brevi, brani ripetitivi e un po’ banali. Forse è perché il mercato ha bisogno di questo, per video game o musica da mettere nei video o nei social. È possibile che migliorerà come accaduto per gli algoritmi degli scacchi che hanno di gran lunga superato l’uomo. Eppure alle persone continuano a interessare le partite tra i giocatori più forti al mondo, non quelle tra i computer». A dover temere di perdere il lavoro semmai «sono i mediocri, chi fa cose ripetitive o di qualità scadente». Ai veri creativi, invece, è probabile che il futuro riservi di suonare a quattro mani con le macchine.

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