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Esclusiva

Aprile 6 2023
Sotto accusa: la palude di Trump

Il rinvio a giudizio di martedì scorso è l’inizio dell’Odissea giudiziaria di The Donald, ma potrebbe essere il minore dei problemi per l’ex Presidente

Il ferro delle barricate e delle transenne si confondono con il vetro e il cemento dello skyline di New York. La folla aldilà di esse è divisa, così come lo sono gli Stati Uniti del 2023.  Da una parte si scandisce «U-S-A, U-S-A, U-S-A»: qualcuno ha dipinto il proprio corpo come la bandiera americana, altri sono stati più sobri e si sono limitati a disegnare una piccola bandiera statunitense all’altezza dello zigomo. Ad unirli sono i gadget con la scritta Make America Great Again (MAGA). Dall’altra parte della strada si canta la riedizione di un vecchio coro che Donald Trump aveva dedicato a Hillary Clinton: «Lock him up, lock him up, lock him up».

Una giornata storica

Alle ore 13 del 4 aprile 2023, l’ex presidente degli Stati Uniti d’America esce dalla Trump Tower e si dirige verso la procura distrettuale di Manhattan per essere rinviato a giudizio per lo scandalo dei presunti pagamenti effettuati nei confronti della pornostar Stormy Daniels, con cui il tycoon ha avuto una relazione sessuale nel 2006. Nel percorso dal quartier generale al tribunale trova il tempo per un ultimo post su Truth Social, prima di lasciarsi alle spalle le porte con i vetri oscurati della procura: «Verrò arrestato… WOW! È tutto così surreale».

Per tutta la durata dell’udienza preliminare, in cui il giudice Merchan legge i capi di accusa su cui sta lavorano la procura guidata da Alvin Bragg, Trump rimane in silenzio, circondato dai suoi tre avvocati: Todd Blanche, Susan Nechels e il presidente della Spal, Joe Tacopina. Finita la lettura di diritti e capi d’imputazione, Trump si dichiara «non colpevole». Prima di schizzare via verso l’aeroporto di Miami, Merchan chiede a Donald Trump di limitare le esternazioni social che potrebbero portare a proteste violente. Il riferimento è a un collage, apparso su Truth Social, in cui l’ex presidente ha una mazza da baseball in mano e sembra puntarla verso la testa di Alvin Bragg. «Il processo del secolo» sembra già finito, ma l’Odissea giudiziaria di Donald Trump è ancora lontana dal capitolo finale.

Il rientro a Mar-a-Lago è un MAGA Pride: da ogni parte degli Stati Uniti delegati, membri del Congresso e sponsor si riuniscono nella splendida sala da ballo costruita all’interno della «southern White House», come era solito chiamarla il padrone di casa mentre era Presidente in carica. «Non sono colpevole di nulla, solo di aver difeso la nostra Nazione da chi voleva distruggerla»: è questo il sunto dalla Florida, mentre una platea imbambolata applaude e strepita. Tempo di dormire non c’è, il gallo canta e Trump ha già in mente la nuova battaglia da far combattere ai suoi: «Dovremmo pensare di togliere finanziamenti al Dipartimento di Giustizia e alla FBI». Alla pugna, c’è un altro solco da tracciare nel Paese.

Il minore dei problemi

Tra i detrattori più feroci di The Donald il sollievo dura poco. «È un problema che, tra i molti processi che potrebbero attenderlo, questo sia stato depositato per primo. Non è una questione importante, a prescindere che abbia pagato o meno Stormy Daniels. Al contrario, l’accusa di aver tentato di interferire con il risultato elettorale in Georgia è un qualcosa che tocca il nucleo della democrazia americana. Anche perché, in quel caso, è stato intercettato mentre chiedeva al segretario di Stato di trovare gli 11.000 voti necessari per sconfiggere Biden»: a parlare è il professor William Banks della Syracuse University, fondatore dell’Institute for Security Policy and Law. «Se la procura di Atlanta decide di andare fino in fondo, Donald Trump è spacciato perché verrebbe condannato. Ecco, forse l’unico effetto positivo che ha avuto l’incriminazione di martedì scorso è quello di aver rotto il tetto di cristallo che proteggeva l’ex Presidente dalle altre incriminazioni».

Il rinvio a giudizio newyorkese pone anche un interrogativo legale: le due presunte violazioni- la falsificazione di documenti aziendali per coprire una violazione sulle leggi riguardanti il finanziamento della campagna elettorale – saranno difficili da dimostrare. Le due accuse non sono mai state riunite in questo modo in un processo prima d’ora. Violazioni statali e federali si intersecano, rendendo il caso Stormy Daniels il minore dei problemi per l’ex Presidente: «È inusuale vedere le argomentazioni presentate dall’accusa: Trump è accusato di aver violato le leggi dello Stato di New York non rispettando lo statuto riguardante le elezioni federali. Bragg però non è un procuratore federale. Sarà una battaglia legale tutta in salita».

Marc Scholl, per quarant’anni assistente procuratore a Manhattan, sottolinea un altro motivo per cui il processo a Trump potrebbe non vedere nemmeno la luce: «La prima udienza è stata fissata per il prossimo dicembre. Qualora arrivassero altre incriminazioni, relative a crimini federali, quella di Manhattan verrebbe posposta perché le accuse federali hanno la precedenza». Oltre alla situazione in Georgia, Trump potrebbe essere portato davanti a un giudice anche per aver incitato le proteste del 6 gennaio, il giorno dell’assalto a Capitol Hill, e per aver tenuto dei documenti riservati nella sua casa in Florida, «l’accusa che, dal punto di vista della condanna che potrebbe rischiare, è la più grave tra tutte».

È in corso una witch hunt, una caccia alle streghe, come ripetono ogni giorno The Donald e i suoi? «Le sue accuse sono turbolente. Trump è un politico e la decisione di indagarlo, anche se gode di grande considerazione nel Paese, spetta alla Procura. Una prosecuzione politica avviene quando si indaga qualcuno per l’essenza delle sue politiche, non se – continua Scholl – un politico viene rinviato a giudizio perché ci sono prove, tutte da dimostrare, che abbia violato la legge. Chi si candida a guidare il nostro Paese dovrebbe difendersi nelle sedi opportune, senza comportarsi come un bambino viziato».  La storia processuale del tycoon platinato è un pantano dal quale sarà difficile tirarsi fuori. Non è un caso che swamp, palude in inglese, faccia rima con Trump