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Esclusiva

Aprile 19 2023.
 
Ultimo aggiornamento: Aprile 22 2023
Decreto Cutro, restrizioni e rigidità sulla gestione dei flussi migratori

La storia di Abraham, fuggito 15 anni fa dall’Eritrea, evidenzia gli aspetti più controversi del dl in discussione al Senato per la conversione in legge

«Ricordo ancora il rumore degli spari e la pioggia che mi cadeva addosso. Avevo paura che mi potessero colpire, che non sarei riuscito a correre abbastanza veloce», Abraham ha deciso di scappare dall’Eritrea poco dopo aver compiuto 17 anni. Insieme a due amici è fuggito dal campo militare in cui si trovava, sfruttando una notte di forte pioggia.

L’idea di scappare era nata tempo prima, nei pochi giorni in cui era riuscito a rivedere la sua famiglia  dopo il primo anno di servizio militare obbligatorio. «Il mio primo giorno nel campo sono stato picchiato e non mi ricordo neanche il perché». Un anno passato a subire violenze: «Ci legavano mani e piedi, ci torturavano. Avevo 18 anni ed ero arrivato a odiare la vita». Dopo due settimane di vacanza, trascorse nel suo villaggio natale, ha capito che per tornare a sperare di avere un futuro doveva fuggire dal suo Paese.

La sua non è considerata dagli standard internazionali una fuga da un Paese “pericoloso”, perché l’Eritrea non è in guerra e Abraham non era perseguitato, voleva solo studiare e laurearsi. Eppure la sua storia, come tante altre, non è sfuggita alla violenza e in Italia non ha comunque potuto ottenere lo status di protezione speciale, di cui in questi giorni si è discusso in merito alla conversione in legge del decreto Cutro.

Abraham, come tutti i suoi coetanei, era stato costretto al servizio militare obbligatorio, che lui descrive come «lavori forzati per lo Stato», poiché dopo l’addestramento si è obbligati a rimanere a disposizione del governo eritreo.

Per Abraham scappare non è stata una vera e propria scelta, era l’unica opzione per uscire dal servizio militare. Attraversato il confine con il Sudan lui e i suoi compagni di viaggio sono stati picchiati e derubati di qualunque cosa. «Il Sudan non è un Paese sicuro per gli immigrati, puoi essere espulso sempre. Però mi sono fermato lì per circa un anno, per mettere da parte i soldi per poter continuare il viaggio», prosegue Abraham, «e lavorando come barbiere e tassista, in un anno ero riuscito a mettere da parte i 2500 euro che mi servivano per attraversare il deserto e imbarcarmi dalla Libia».

Quattordici giorni nel deserto, in cui Abraham ha pensato più volte che non sarebbe riuscito a sopravvivere anche a quello: «Ci avevano promesso un camion, e invece eravamo 56 persone in due pick-up. Eravamo così schiacciati lì dentro che non si riusciva a respirare e vivevi nella costante paura di cadere giù o morire soffocato». I primi sette giorni hanno viaggiato con autisti sudanesi, ma arrivati al confine con la Libia le cose sono cambiate: «Gli autisti libici ci picchiavano con i bastoni continuando a perquisire per cercare dei soldi che sapevano non avevamo. Faceva caldissimo, avevamo sete ma l’unica acqua che ci portavano i libici era mescolata alla benzina». Sono stati sette giorni d’inferno, dice Abraham: «Quando la polizia libica ti arresta pensi che la tua vita sia finita. Ci hanno portato in una prigione nella città di Zliten. Eravamo in 150 in un carcere sotterraneo in cui siamo stati per un mese senza vedere la luce. Una notte ci hanno aperto la porta per portarci del cibo e ci siamo massacrati tra di noi per riuscire a prendere qualcosa da mangiare. Un ragazzo dei quattro con cui ero stato arrestato è morto picchiato dalla polizia».

Dopo un mese Abraham è riuscito a scappare e a salire su un gommone in partenza da Tripoli: «Eravamo settanta persone, siamo stati in mare trentasei ore prima che la Marina Militare ci recuperasse».

Abraham vive in Italia da più di 15 anni, ora è laureato e lavora. Quando è arrivato non ha ottenuto l’asilo politico, per cui aveva fatto richiesta. È riuscito però a ottenere lo Status umanitario. Raccontare la sua storia – simile a tante altre che iniziano molto prima che i media italiani riescano a intercettarle nel Mediterraneo – diventa essenziale per comprendere la resistenza di questi giorni alla conversione in legge del decreto Cutro (n.20, 10 marzo 2023).

Il decreto, da convertire entro il 9 maggio, pena la decadenza, è stato redatto dal governo Meloni durante il Consiglio dei ministri tenutosi nella cittadina calabrese del naufragio.

La discussione, disposta per la prima volta in Senato per il 18 aprile, è iniziata invece il giorno successivo, con l’analisi dei singoli emendamenti, nonostante la proposta, poi ritirata,  di un ulteriore maxi-emendamento delle forze di maggioranza.

A colpire l’opinione pubblica e le forze politiche di opposizione – che il 18 aprile hanno preso parte a Roma alla manifestazione di diverse Ong e associazioni, tra cui Amnesty International – sono soprattutto due emendamenti presentati dallo stesso governo, sui Cpr (centri di permanenza per il rimpatrio) e sulla protezione speciale, un permesso di soggiorno rilasciato nei casi in cui il richiedente sia a rischio di persecuzione per motivi etnici, di orientamento sessuale, identità di genere, lingua, cittadinanza, religione o opinioni. Due questioni che hanno avvicinato il decreto sui flussi migratori ai decreti sicurezza Salvini. Sull’abolizione della protezione speciale la maggioranza ha rinunciato già nelle prime ore di voto al Senato, chiedendo l’accantonamento dell’emendamento. Decisione che ha portato alla sospensione della seduta. Resta perciò al momento invariata la protezione speciale reintrodotta dalla ministra Luciana Lamorgese nel 2020, dopo la sua cancellazione con i decreti sicurezza attuati da Matteo Salvini nel 2018-2019, da Ministro degli Interni.

Approvato, invece, l’emendamento sulla revoca e riduzione delle condizioni di accoglienza (Cpr), per cui solo i titolari dello status di rifugiato potranno accedere al secondo livello di accoglienza, il Sistema di accoglienza e integrazione (Sai). Saranno inoltre reintrodotte anche ulteriori restrizioni riguardo la concessione della protezione internazionale.

«È agghiacciante – ha affermato a Zeta il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury –  il fatto che un decreto che è conosciuto con il nome del luogo in cui c’è stata una spaventosa strage di migranti e richiedenti asilo poi abbia un contenuto che irride ai diritti e alla dignità delle stesse persone». Fra gli emendamenti già bocciati in Senato, infatti, figurano i ricongiungimenti familiari (M5S), l’assistenza psicologica ai migranti e i centri di prima accoglienza per le vittime di violenza sessuale (Pd) e anche il “pieno rispetto di tutti i diritti fondamentali” (emendamento di Alleanza Verdi e Sinistra).

Se il decreto Cutro dovesse diventare legge così come approvato ed emendato in Senato, persone come Abraham in Italia otterranno solo permessi temporanei o saranno considerati clandestini, bloccati nel limbo dei Cpr e poi costretti a tornare indietro. Abraham però, non potrebbe farlo. Verrebbe ucciso se tornasse in Eritrea e così come lui migliaia di altre persone, di altre storie.

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