Attenzione! Questo articolo è stato scritto più di un anno fa!
!
Esclusiva

Aprile 21 2023
«Una documentazione inedita potrebbe spiegare la verità»

Secondo gli esperti, la riapertura delle indagini sulla strage di Erba potrebbe ripartire anche dalle carte che definiscono come e quando è stato ascoltato il testimone Mario Frigerio

«Una documentazione inedita potrebbe spiegare la verità». Alla notizia di una possibile riapertura delle indagini sulla strage di Erba lo psichiatra e criminologo Michele Di Nunzio dell’ospedale San Filippo Neri di Roma torna sulla testimonianza dell’unico sopravvissuto: Mario Frigerio. «Come e quando è stato ascoltato? Bisogna capire se è stato sentito in tempi rapidi, durante il ricovero in ospedale, e come è stata raccolta la sua testimonianza. È la documentazione che prova l’utilizzo di test neuropsicologici che, se effettuati in tempo, possono dirci, ad esempio, se e da quanto tempo ci sono dei deficit delle funzioni cognitive. Un confronto tra molteplici test può chiarire se la memoria è stata compromessa, se l’alterazione dei ricordi c’era già in origine, o se è una conseguenza dell’evento subito».

Le carte che dimostrano l’utilizzo di una modalità ad hoc diventano «ancora più rilevanti quando il testimone è anche la vittima di un evento, perché è più coinvolto. Così quando la memoria è intatta, si può «resistere a particolari domande, come quelle suggestive» che implicitamente influenzano la risposta (ndr).

Che cosa accade se adattiamo le nostre convinzioni ai suggerimenti dell’interlocutore? Possiamo cambiare le percezioni per uniformarci alla volontà dell’altro (ndr). È l’esperimento dello psicologo sociale Solomon Asch, che può anche spiegare come siamo in grado di modificare la risposta adattandola alla domanda se questa si rivela influente. Sembra essere questa la soluzione contemplata da Mario Frigerio che segnala prima, come aggressore, uno sconosciuto e successivamente Olindo Romano. Una testimonianza contraddittoria per uscire da una situazione complessa: l’interrogatorio.

«Come il bambino crede alle favole raccontate dai genitori, così il testimone all’ascolto di una domanda suggestiva può essersi autoconvinto di un racconto». Il commento dell’avvocato Paolo Pirani, docente in diritto processuale penale e diritto penale presso I.S.S. – Investigazioni scientifiche e sicurezza, si unisce, mettendo in chiaro «un’altra documentazione che sembra non essere mai entrata nel processo». È quella che riguarda la «qualità delle domande poste durante l’interrogatorio» che può dirci molto sulla «credibilità del testimone». «È la sonorità della domanda che può spiegare perché un testimone riconosce prima una persona sconosciuta, come responsabile, e in un secondo momento una persona diversa. Anche il come e quando viene mostrata un’immagine di un eventuale colpevole può influenzare quello che diciamo».

Vincenzo Mastronardi, psichiatra e criminologo, già direttore della cattedra di Psicopatologia forense presso l’Università di Roma La Sapienza, prosegue, spiegando che «ogni ipotesi investigativa può avere una contro-spiegazione. Bisogna evitare l’autoconvincimento riverberante. Pensiamo alla domanda: “Sei sicuro?” È il contagio della risposta, mediante la formulazione di una domanda. Ed anche se mostro una sola immagine e non fotografie comparative, la sola immagine presentata può influenzare la risposta. Così bisogna procedere, favorendo il confronto di volti diversi, almeno sei, otto facce». Sulla traccia di sangue appartenente a Valeria Cherubini, una delle vittime, individuata sul battitacco dell’auto di Olindo Romano, Pirani conclude: «Bisogna approfondire, capendo se può trattarsi del risultato di una possibile contaminazione. La revisione è uno strumento di diritto. Bisogna fare cronaca e non supposizioni della cronaca. Tutto quello che non è entrato, fino ad oggi, nel processo sulla strage di Erba, il nuovo unitamente al vecchio può orientarci verso la verità al di la di ogni ragionevole dubbio».

Leggi anche: «Sono ancora numerose le piste da approfondire su Emanuela Orlandi»