Un uomo sulla sessantina, bianco e di bell’aspetto, che ricopre un ruolo, sociale e professionale, di prestigio, usando le pagine del quotidiano Repubblica come un megafono, ha dato le sue tavole della Legge. Tre i punti toccati da Luca Barbareschi: come si deve essere donne, come liberarsi dal fardello di essere omosessuali, come è giusto percepire la propria identità di genere. Insomma, un moto d’orgoglio del patriarcato che piegato dalle scorrettezze delle varie lobby (quella gay, quella femminista, quella del politically correct) rialza la testa e si riprende ciò che è suo di diritto: i privilegi di un trono da cui insegnare a tutti gli altri come condurre la propria esistenza. L’ultimo rantolo, prima di passare a miglior vita, sotto i colpi del suo avversario più accanito: non le lobby, ma la scienza.
«Non esiste un terzo sesso»: FALSO
«Un genio attaccato ferocemente perché si rifiuta di dire che c’è un terzo sesso», ha detto Luca Barbareschi parlando del protagonista di The Penitent, il film che sta girando. La pellicola ripercorre la storia di Jordan Peterson, psicologo canadese, dalle teorie controverse. Farsi araldo di chi sostiene che “non esiste un terzo sesso” significa a discriminare le persone transgender e tutte le identità queer che non si riconoscono nella categoria di genere binaria maschio-femmina. L’affermazione, inoltre, non trova riscontro neanche dal punto di vista medico, dal momento che esistono persone che nascono con attributi sia maschili che femminili. Il destino degli ermafroditi è, di norma, quella di subire alla nascita la riassegnazione del sesso, ovvero l’eliminazione, tramite interventi chirurgici, dell’organo sessuale meno sviluppato. Come dimostrato da studi scientifici recenti, queste pratiche creano diversi problemi, fisici e psicologici, alle persone che li subiscono. Una ricerca pubblicata su The Lancet nel 2016 ha esaminato gli effetti a lungo termine delle procedure mediche coercitive su un gruppo di persone intersex in Germania. Gli autori hanno scoperto che queste procedure hanno causato problemi fisici, come cicatrici, disfunzioni sessuali, incontinenza urinaria e dolori cronici. Inoltre, gli autori hanno rilevato che le persone intersex sottoposte a queste procedure hanno avuto maggiori probabilità di sviluppare problemi di salute mentale, come depressione, ansia e disforia di genere. Un altro studio pubblicato nel 2018 ha esaminato gli effetti delle procedure mediche coercitive su un gruppo di donne intersex in Australia. L’autore ha scoperto che queste donne hanno avuto maggiori probabilità di sperimentare problemi di autostima e di identità di gener, e che le procedure mediche coercitive hanno portato a una maggiore insicurezza e frustrazione.
«L’omosessualità è un adattamento»: FALSO
« L’assassino è ispanico, vittima della società, è gay, emarginato, quindi forse non è più colpevole», continua Barbareschi alludendo a una presunta indulgenza che sarebbe concessa alle persone omosessuali. La creazione di un implicita opposizione noi-loro, nella quale “noi” indicherebbe gli eterosessuali che pagano quando commettono un errore e “loro” indicherebbe i gay che sono giustificati anche dei crimini più aberranti, rinforza i sentimenti di odio verso la comunità LGBTQIA+. Non pago Barbareschi prosegue: «La stampa si sposta sullo psicologo, complice una pubblicazione in cui aveva scritto che l’omosessualità è un adattamento. Per me ci sta: io sono stato omosessuale nella mia vita, forse ho trovato un adattamento alle mie problematiche». Definire l’omosessualità come un “adattamento” è falso. L’American Psychological Association ha affermato che “l’orientamento sessuale fa parte dell’identità di una persona e non può essere cambiato”, e l’American Medical Association ha dichiarato che “l’omosessualità non è una malattia, né un disturbo mentale o emotivo”.
Ci sono anche studi che hanno esaminato il ruolo dell’ambiente nella formazione dell’orientamento sessuale. Ad esempio, uno studio sull’omosessualità nei gemelli pubblicato sulla rivista Archives of Sexual Behavior nel 2010 ha trovato che l’orientamento sessuale ha una forte componente ereditaria, ma che l’ambiente può anche svolgere un ruolo. Tuttavia, questi studi suggeriscono che l’omosessualità non è una scelta, ma piuttosto una combinazione di fattori biologici ed ambientali che interagiscono per determinare l’orientamento sessuale di una persona.
Infine, parlare dell’omosessualità come del risultato di problematiche psicologiche non solo è antiscientifico ma fa parte delle dinamiche che portano le persone omosessuali a soffrire di omofobia interiorizzata, ovvero l’odio verso se stessi indotto dalla società eterosessista e omofoba. La ricerca “Stigma and sexual orientation: Understanding prejudice against lesbians, gay men, and bisexuals” spiega come lo stigma sociale e la discriminazione basati sull’orientamento sessuale possano portare all’omofobia interiorizzata e come questo aumenti la probabilità per le persone omosessuali di avere sintomi depressivi e cresca, con essi, il rischio di suicidio.
«Le donne fingono le molestie»: FALSO
Dopo gli affondi contro omosessuali e persone transgender è stato il turno delle donne. «Sul vostro giornale c’è stata una serie a puntate di molestate finte», afferma riferendosi all’inchiesta del quotidiano sulle denunce di molestie pervenute dalle attrici dell’associazione Amleta e continua: «me viene da ridere, perché alcune di queste non sono state molestate, o sono state approcciate in maniera blanda». Dire che le denunce di molestie sessuali non sono sempre vere è un meccanismo discriminatorio attraverso cui si scredita la credibilità e l’affidabilità delle donne. Si tratta di una conseguenza della struttura patriarcale della nostra società, in cui la voce maschile continua ad avere più autorevolezza di quella femminile.
In uno studio pubblicato nel 2017 è stato esaminato come la cultura dello stupro influisce sulla percezione delle donne che denunciano la violenza sessuale. I ricercatori hanno esaminato tre fattori psicologici che possono influenzare la percezione delle vittime di violenza sessuale: l’accettazione del mito dello stupro, il victim blaming e le credenze su quello che deve essere considerato un mondo giusto.
L’accettazione del mito dello stupro si riferisce alla tendenza a credere a idee errate sulla violenza sessuale, come ad esempio che le donne che indossano abiti provocanti o che bevono alcol sono più suscettibili di essere violentate. Il victim blaming si riferisce alla tendenza a incolpare le vittime di violenza sessuale per l’aggressione subita, ad esempio sostenendo che la vittima avrebbe dovuto prendere precauzioni per evitare l’aggressione. Le credenze sul mondo giusto si riferiscono alla tendenza a credere che il mondo sia un posto giusto e che le persone ricevano ciò che meritano, il che può portare a minimizzare la gravità della violenza sessuale subita dalle vittime.
I ricercatori hanno esaminato questi tre fattori in relazione alla percezione delle donne che denunciano la violenza sessuale. Hanno scoperto che le persone che aderiscono alla cultura dello stupro tendono a giudicare le donne che denunciano la violenza sessuale come meno credibili e a minimizzare la gravità del crimine. In particolare, le persone che accettano il mito dello stupro, che praticano il victim blaming e che hanno credenze sul mondo giusto sono più inclini a giudicare negativamente le donne che denunciano la violenza sessuale.
Come più ricerche psicologiche hanno evidenziato, l’unico criterio per determinare se si è trattato di una molestia è la percezione di violenza avvertita dalle donne. Il vissuto e l’esperienza di una persona sono elementi essenziali per stabilire se un comportamento è stato offensivo, intimidatorio o esplicitamente non consensuale. Anche quando le molestie non sfociano in aggressione fisica, sono comunque destabilizzanti e degradanti.
Leggi anche: Molestie, un’esperienza quotidiana che influisce sulla vita delle donne