Una no-fly zone imposta sul cielo nuvoloso di San Pietro accompagna l’arrivo in Vaticano del presidente ucraino Volodymyr Zelensky per l’ultimo – e il più atteso – degli incontri in agenda per la giornata, quello con Papa Francesco. Mentre il traffico di turisti intorno alla Basilica di San Pietro non è mai stato interrotto, i leader si sono riuniti in uno studio papale vicino alla sala delle udienze del Vaticano, l’Aula Nervi, per un colloquio privato durato 40 minuti con la sola presenza di un interprete francescano. Subito dopo, è stata riservata mezz’ora ai colloqui con l’arcivescovo e segretario di Stato Mons. Paul Richard Gallagher.
Un incontro senza troppi cerimoniali quello tra Zelensky e Bergoglio, che usando un bastone per il suo problema al ginocchio, si è recato fino all’uscio della porta per salutare il presidente ucraino prima dell’inizio dell’udienza. Separati solo da una scrivania in legno, i due hanno parlato «dell’attuale guerra in Ucraina e le urgenze collegate ad essa, soprattutto quelle di natura umanitaria» riporta il comunicato della Sala Stampa della Santa Sede.
La dichiarazione del Vaticano lascia però in sospeso la richiesta di aiuto per riportare in Ucraina i bambini deportati in Russia, già avanzata il mese scorso dal primo ministro ucraino, Denys Shmyhal. In un tweet pubblicato 40 minuti dopo la fine dell’incontro, il presidente Zelensky ha comunque espresso gratitudine a Francesco per «la sua personale attenzione alla tragedia di milioni di ucraini», sottolineando di aver parlato con il pontefice delle decine di migliaia di bambini ucraini deportati: «Dobbiamo fare ogni sforzo per riportarli a casa».
Il tentativo di Zelensky di trovare sostegno nel Papa per il piano di pace dell’Ucraina arriva dopo che in passato Bergoglio si è offerto di cercare di aiutare a porre fine alla guerra: «Il Papa ha assicurato la sua preghiera costante, testimoniata dai suoi numerosi appelli pubblici e dalla sua continua invocazione del Signore per la pace, dal febbraio dello scorso anno» ha dichiarato il Vaticano.
«Se il Papa avesse offerto a Churchill di mediare una pace nel ’44 con Hitler, Churchill non avrebbe mai accettato pur di riuscire ad impiccare il suo nemico». Sebbene il pontefice si offra come mediatore tra Russia e Ucraina, secondo il corrispondente in Italia per la televisione tedesca RTL Udo Gümpel, «una guerra iniziata sul campo di battaglia non può che finire sul campo di battaglia». Nelle parole di Bergoglio però si intravede il tentativo di «ritirarsi dalla sua posizione di equidistanza totale» per cui era stato pesantemente criticato, soprattutto dalla comunità cristiana ucraina. «Lo ha fatto nella funzione di rimanere un interlocutore credibile anche con Mosca» e per questo il suo ruolo da diplomatico è stato messo in disparte da Zelensky, mentre ha trovato il favore di tutti quei paesi nel mondo «che non si schierano contro la Russia e vorrebbero semplicemente che si smettesse di combattere» per ragioni energetiche, economiche e un diffuso senso di anti-americanismo. «C’è una vasta porzione del mondo a cui fa comodo che esista un contrappeso agli Stati Uniti nella scacchiera internazionale. E in questo senso non si può dimenticare il background culturale di Papa Francesco, che ha una storia vissuta in Argentina dove si è trovato a dover salvare i suoi gesuiti dalle persecuzioni».
L’incontro con Giorgia Meloni e Sergio Mattarella
A inaugurare la visita di Zelensky a Roma è però il benvenuto del Presidente della repubblica Sergio Mattarella. «Un’onore averla qui» ha detto il capo dello stato, accompagnato dal ministro degli esteri Tajani, dall’ambasciatore italiano a Kiev e la delegazione del Quirinale.
Un breve tratto di strada fino a via del Corso lo separa da Palazzo Chigi. Il maltempo non impedisce gli onori di casa a una piccola compagine di militare. Al riparo ad accogliere Zelensky c’è Giorgia Meloni. Dopo baci e abbracci sotto la pioggia, ha il via l’incontro privato. In conferenza stampa i toni si fanno più seri e istituzionali. A smorzare la tensione è però lo stesso presidente ucraino. Infatti in attesa che gli addetti risolvessero dei problemi tecnici Zelensky ha scherzato sulla causa: «saranno i russi».
Lo scambio di parole tra i vertici dei due paesi ha solo ribadito la posizione internazionale assunta fino ad ora. Questo è ciò che ha riferito Giorgia Meloni sul loro discorso, ribadendo «il fermo sostegno dell’Italia all’Ucraina a 360 gradi, alla sua integrità territoriale, alla sovranità e all’indipendenza di Kiev».
Sul tavolo anche il rapporto dell’Ucraina con la Nato. Un’adesione sarebbe il risultato desiderato da Zelensky, ma è necessario attendere il summit di luglio a Vilnius. «Siamo pronti a sostenere un’ulteriore intensificazione del partenariato dell’Ucraina con la Nato», ha preannunciato Meloni sul tema, definito anche centrale per i prossimi mesi.
Dall’opposizione la portavoce di Azione Mariastella Gelmini intravede un filo di continuità tra il passato e l’attuale governo. «Il nostro Paese, fin dal febbraio dello scorso anno, si è schierato dalla parte giusta della storia e le parole di Giorgia Meloni oggi – come già quelle di Mario Draghi durante la sua storica visita a Kiev dello scorso anno – ci restituiscono l’immagine di un’Italia che non cambia opinione con il mutare dei governi». Polemica invece per l’assenza di Matteo Salvini e di esponenti leghisti. «Una presenza mai prevista dall’inizio», ha ribattuto il capo della Lega. Non è dello stesso avviso l’esponente del Partito Democratico Filippo Sensi. «Resta la gravità e l’imbarazzo di un partito di governo, la Lega, che non prende parte né con il vicepremier, né con uno dei suoi ministri, all’incontro dell’esecutivo con Zelensky. Non penso che mancherà al presidente ucraino, ma resta uno sgarbo, un segno inaudito di divisione», le sue parole su Twitter.
Leggi anche: «Non posso studiare se non ho un tetto sulla testa»