Esclusiva

Giugno 12 2023
Da Fellini a Moretti e Sorrentino, Berlusconi nel cinema italiano

Imprenditore, produttore ma anche protagonista del nostro immaginario cinematografico, prima come nemico poi come icona pop

Ha già vinto. Berlusconi venti, trenta anni fa con le sue televisioni ci ha cambiato la testa, capito?, così diceva un disilluso Nanni Moretti in una scena del suo Il caimano (2006), di fronte all’entusiasmo della giovane regista Teresa (Jasmine Trinca), impaziente di girare il suo primo film, proprio contro l’uomo che più di tutti ha segnato l’identità italiana degli ultimi decenni. Un’urgenza espressiva, quella di Teresa, che nasceva dall’influenza della figura di Silvio Berlusconi proprio nella generazione che Jasmine Trinca rappresentava, i millennials nati e cresciuti dentro le logiche mediatiche di Fininvest/Mediaset. A loro, a tutti, Berlusconi ha davvero cambiato la testa?

«La frase di Moretti può andare bene in un film, soprattutto in un film-a-tesi, come Il Caimano. Come giudizio storico o analisi politica, no. È molto riduttiva», afferma Andrea Minuz, professore di storia del cinema all’Università La Sapienza di Roma. «Pensare che Berlusconi abbia vinto le elezioni grazie alle televisioni è casomai l’alibi politico di chi le perde», di chi semplifica la stratificazione del suo elettorato, fatto di «identità profonde ed esigenze concrete», a partire da un Stato meno ingombrante, meno presente. Ridurre il “berlusconismo” a fenomeno televisivo è fuorviante, secondo Minuz, «ma è l’escamotage ricorrente di chi ha scelto di non prenderlo mai sul serio politicamente, cercando cioè di capirne il cuore ideologico, non solo la sua estetica televisiva».

Film come Il Caimano rientrano ancora in quella risposta al berlusconismo che è a sua volta ideologica, individuando cioè un nemico contro cui scagliarsi. Tuttavia, «la risposta cinematografica al fenomeno Berlusconi parte da lontano», prosegue Minuz e tra i primi a farsi beffa di Berlusconi ricorda anche Federico Fellini con Ginger e Fred: «Siamo nel 1985 e Berlusconi è ancora solo un imprenditore a capo di un impero televisivo, ma da anni ha iniziato a comprare le library delle grandi case di produzione. Sta comprando mezzo cinema italiano e ha iniziato anche a produrlo, con il gruppo che poi diventerà Medusa. In quegli anni Fellini polemizza con Berlusconi per la questione dei film trasmessi in tv con le interruzioni pubblicitarie. Lo mette perciò in Ginger e Fred come una caricatura, tale “Cavalier Lambrusconi”, ma l’allusione è ovvia».

Dopo la “discesa in campo” le allusioni lasciano spazio ai messaggi politici espliciti, a Moretti appunto, e Berlusconi viene etichettato come l’uomo che «ha ucciso il cinema italiano, ma casomai è vero il contrario», afferma Minuz, poiché spesso non si ricorda che con Medusa «ha permesso a tanti registi, soprattutto di sinistra, di fare film in quegli anni, senza alcuna censura, non perché fosse magnanimo, ma perché ragionava da imprenditore». Da Bernardo Bertolucci a Ettore Scola, fino all’antiberlusconiana Sabina Guzzanti, Medusa ha intercettato il loro mercato, cimentandosi nel “cinema impegnato”. 

Diverso è il caso di Paolo Sorrentino e del suo film in due parti, Loro (2018), il primo non prodotto da Medusa dopo l’Oscar del 2014 e in cui il regista racconta Berlusconi dal punto di vista politico e privato. «Per Sorrentino Berlusconi è un pezzo dell’immaginario italiano, non più un nemico politico da contrastare con ogni mezzo. Cerca di far emergere l’uomo, ormai al tramonto, l’icona pop, il suo mondo grottesco, liftato, finto, ma anche mettendoci malinconia, comprensione, cercando di sospendere il giudizio, perché ormai la sua storia, nel bene o nel male, l’ha fatta», conclude Andrea Minuz cogliendo quello che cinque anni fa è stato l’intento di Sorrentino, ironico come è il suo stile, ma ormai radicato nel passato.

Alla Teresa di Jasmine Trinca oggi si potrebbe rispondere che no, non è più vero che nessuno hai mai fatto un film su Berlusconi, ma che è stato necessario attendere il ridimensionamento della sua figura pubblica per farlo con distacco. Il prossimo, forse, toccherà a un regista della Generazione Z, a chi con gli occhi dei ventenni di oggi riuscirà a raccontare un pezzo d’Italia alla giusta distanza storica, senza l’urgenza ideologica né il cuscinetto dell’umorismo.

Leggi anche: «Mr. Bunga Bunga is back» Berlusconi sulla stampa internazionale