«Non posso tornare in Russia, rischio l’arresto e la condanna a cinque anni di carcere». Sonya Savina è una giovane giornalista di “Important Stories”, un medium russo indipendente autore di inchieste sui crimini dell’esercito di Putin in Ucraina. Nel 2021 ha vinto lo European Press Prize Investigative Reporting Award e lo scorso ottobre è stata insignita del premio della Commissione europea “Lorenzo Natali” come miglior giornalista emergente, grazie al suo articolo sui massacri di Chernihiv. Davanti agli studenti del Master in Giornalismo Luiss, a Roma, Sonya racconta gli esordi: «Ho sempre fatto giornalismo investigativo, prima per i media RBK e The Project, poi per la testata Proekt. Ho anche collaborato con l’organizzazione indipendente Conflict Intelligence Team. Indago sulle modalità di azione delle truppe russe in guerra».
Nel 2020 Savina approda a “Important Stories”, una nuova testata fondata da Roman Anin, il più importante giornalista investigativo russo. «La redazione conta quindici redattori. Tramite l’analisi dei dati sveliamo i problemi sociali che affliggono il nostro Paese» spiega. Nell’agosto del 2021, “IStories” pubblica l’inchiesta su Kirill Shamalov, il marito della figlia di Putin diventato miliardario dopo pochi giorni dall’inizio della relazione. L’articolo ha un’eco enorme, tanto da arrivare fino al presidente. Risultato: il ministro della Giustizia dichiara Sonya e tutti i collaboratori “agenti stranieri”. L’attività di investigazione, però, non si ferma, IStories si trasferisce a Praga e da lì continua a far luce sui crimini di guerra dei militari russi in Ucraina.
La prima inchiesta di cui parla Sonya è iniziata per caso: «Una donna ucraina ci ha detto che il suo telefono era stato preso da due soldati, che prima di disfarsene si sono scattati un selfie. Grazie a una app di riconoscimento facciale, siamo risaliti alle loro identità e li abbiamo contattati. La chiamata è durata quasi due ore, e, dopo aver negato più volte di aver ucciso civili, uno dei due ci ha confessato di aver sparato alla tempia di un ucraino in un villaggio vicino Kiev». Le rivelazioni dell’inchiesta pesano sul destino del militare: «Ha smesso di combattere, ma non possiamo più sentirlo» continua Sonya «perché è accusato di aver dato informazioni al nemico».
La conferenza di Sonya Savina prosegue con l’analisi di “To Kidnap and Russify”, un esempio di data journalism sul caso dei bambini ucraini deportati in Russia. Nessuno è a conoscenza del numero esatto, ma ogni anno il ministero dell’Istruzione russo pubblica un report sugli orfani presenti nel Paese: «Abbiamo rilevato una crescita drammatica nei numeri e molti dei minori registrati nel database sono ucraini strappati alle loro famiglie. Ne abbiamo contati almeno duemila, ma di tanti altri non si sa nulla…Putin ha sempre negato il fatto, eppure dati dicono altro».
Da due anni la redazione di “IStories” è considerata «sgradita» dal governo russo. Nel marzo 2022 il regolatore dei media Roskomnadzor ha bloccato l’accesso al sito della testata in Russia. Tutti i suoi giornalisti sono esuli a Praga e alcuni hanno ricevuto minacce. «Io ancora no» dice Sonya «ma ho paura per la sicurezza della mia famiglia, loro vivono ancora là… Ci possiamo vedere solo in altri Paesi, al momento non mi conviene neanche avvicinarmi al confine». L’incontro si chiude con un barlume di speranza: «Non so quando finirà questa guerra, ma spero che a trionfare sarà l’Ucraina».