Ieri alla Casa internazionale delle donne è stato presentato il primo fondo femminista italiano, Semia fondo delle donne. Si tratta di una fondazione indipendente che sostiene, anche economicamente, tutte quelle realtà territoriali che lavorano per garantire l’uguaglianza di genere. Sono già quaranta i paesi in cui operano fondi femministi, tra cui Messico, Bulgaria, Serbia, ma il ritardo italiano non finisce qui. Come riferito a ZetaLuiss dall’ufficio stampa di Semia «alla base dell’organizzazione ci sono perlopiù fondi privati stranieri», tra i pochi italiani si contano “Una, nessuna e centomila” e la “Fondazione Mercegallia”.
La nascita del fondo è stata accompagnata dalla presentazione della prima indagine conoscitiva sul movimento femminista italiano, dove si legge che «la grande maggioranza di associazioni mappate sopravvive di autofinanziamento; solo il 38 per cento ha ricevuto fondi pubblici e meno del 15 per cento ha stabilito relazioni con fondazioni italiane».
Dal Messico all’Italia
La vicepresidente e direttrice esecutiva di Semia, Miriam Mastria, ha solo trentadue anni, ma alle spalle ha cinque anni di esperienza nel fondo Semillas che dagli anni Novanta opera in Chiapas, Stato meridionale del Messico. La somiglianza tra i nomi delle due fondazioni è solo casuale. Semia è il nome della dea etrusca della fertilità e della terra, Semillas in messicano invece vuol dire semi. In una cosa però i due nomi si somigliano, entrambi descrivono la volontà di creare solide «radici»da cui possa nascere un forte movimento femminista.
«In Messico e America Latina la rete femminista è già forte – ammette Mastria – in Italia è stata dormiente per anni e solo grazie a Non una di meno si sta risvegliando».Gli anni in Chiapas hanno permesso a Mastria di «vedere con i suoi occhi come la filantropia femminista abbia permesso la creazione di una rete nazionale coesa, forte e con obiettivi comuni» ed è questo che adesso auspica succeda anche in Italia.
Il lavoro di Semia
Il fondo funzionerà da una parte come collettore di risorse da destinare a «tutte quelle realtà femministe e non transescludenti che ne faranno richiesta» ha riferito Mastria. I finanziamenti saranno «flessibili» ossia non ci sono «imposizioni su come ogni organizzazione spenderà i soldi sul territorio». Questo è evidente anche nella modalità di richiesta delle risorse. Ogni organizzazione femminista presenterà un progetto, ma come ha specificato la vicepresidente «il progetto non deve essere per forza qualcosa di particolare, può anche rappresentare tutto il lavoro che l’associazione fa in un anno di lavoro». A selezionare le richieste saranno il consiglio d’amministrazione – per adesso composto da sette persone ma in via di allargamento – su consiglio di un’Advisory board. «Il primo bando – spera Mastria – dovrebbe essere pubblicato nella primavera del prossimo anno».
Il sostegno al movimento femminista però non si esaurisce in un supporto finanziario. Perché la rete sia sviluppata e unita su modello di quella latino-americana, Semia punta alla condivisione di expertise e «capacità strategiche». L’obiettivo è quello di rafforzare ogni organizzazione e dotarle di quella competenza tecnica che ora manca. Dal report condotto da Semia, infatti è emerso che «quasi il 70 per cento delle associazioni femministe sono di piccola dimensione con meno di 15 persone impegnate nelle attività, in capacità perlopiù volontaria». Il lavoro sarà svolto dal team operativo che formerà i lavoratori e volontari delle associazioni su come «fare advocacy, autofinanziarsi, e agire sul territorio» in modo anche da avere «un’agenda comune».
Cento Donne
Per essere più inclusivo possibile, Semia ha anche organizzato una campagna “100 Donne”. Il nome fa riferimento al numero massimo di persone che potranno partecipare all’Assemblea di partecipazione. Si tratta di un organo consultivo su modello dei «giving circles statunitensi», ossia circoli di filantropia partecipativa in cui le persone si mettono assieme per donare il proprio denaro o il proprio tempo.
«L’assemblea raccoglierà quelle persone che sia con denaro che con la condivisione del loro tempo vorranno aiutare la causa» ha detto Mastria. L’idea è quella di creare un’area di «attivismo libero», in cui ognuno dà ciò che può e ciò che vuole. Per entrare a far parte dell’assemblea attualmente è necessaria una donazione minima di mille euro, ma una volta che l’organo si sarà strutturato, sarà la stessa assemblea a decidere collettivamente le quote di partecipazione.
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