A Milano il periodo di Natale non è il momento migliore per smentire lo stereotipo di una città frenetica. Le luci per le strade si fondono con quelle del traffico e nelle vie principali non si cammina, si scorre. In questo vortice di biglietti d’auguri e carte di credito c’è però chi resta in disparte. Sono centinaia in tutta la città le persone senza una casa che si affidano all’aiuto delle associazioni di volontariato.
Una delle più presenti è la Fondazione Progetto Arca, che assiste i senzatetto da quasi trent’anni. Ogni giovedì sera la cucina mobile della onlus fa due tappe in centro, dove si concentrano molte persone in condizioni di bisogno. La prima sosta è nei pressi della fermata della metro Lanza, a pochi passi da uno dei teatri più importanti d’Europa, lo Strehler.
Qualcuno sta già aspettando nel solito punto. Il furgone accosta e apre il banco della cucina per servire i primi pasti caldi. In un quarto d’ora arrivano cinque o sei persone. «Nei periodi di festa molti senza fissa dimora si spostano dalla città», spiega Luca Medaglia, responsabile del foodtruck. Alcuni prendono da mangiare e se ne vanno, altri rimangono qualche minuto a chiacchierare.
Tra i più loquaci c’è Giuseppe, che vuole lasciarsi alle spalle un vissuto doloroso aiutando a sua volta chi si trova in difficoltà. «A causa del covid ho perso il lavoro, poi sono morti i miei genitori e ho cominciato ad avere problemi con l’alcol perché mi ritenevo colpevole di tutto» – racconta – «Mi hanno salvato per miracolo. Adesso ho una casa, ma nell’attesa ho dormito otto mesi per strada. Sono ancora senza lavoro e sto cercando di cambiare. Dopo le mie esperienze ho deciso di dare tutto me stesso per aiutare chi sta peggio di me».
Quando parla dei disagi della vita in strada i suoi occhi rimangono fissi su un punto lontano. «Alcuni scelgono di vivere così, ma ci sono molte persone che invece hanno bisogno di un posto caldo e non trovano spazio in dormitorio. Ci sono anche donne con bambini. Tanti vengono derubati, perdono i documenti e non riescono più a rifarli. Serve stargli più vicino, chi vuole davvero cambiare vita va aiutato concretamente».
Dopo venti minuti è il momento di spostarsi, il camion richiude gli sportelli e riprende il suo percorso. La tappa successiva è San Babila, dietro al duomo. Qui la fila davanti alla cucina mobile è molto più lunga: circa duecento persone, quasi tutti uomini. Al bancone del furgoncino qualcuno si accerta che nella cena non ci sia maiale, qualcun altro vuole il bis, altri ancora chiedono il caffè ma è finito, c’è solo camomilla. Va bene lo stesso, basta che sia calda.
Nello stesso momento, altri volontari distribuiscono cibo e bevande a chi non può raggiungere il foodtruck. Mentre gli ultimi clienti dei negozi del centro portano a casa pacchetti regalo e borse da shopping, i ragazzi e le ragazze del Progetto Arca consegnano sacchetti verdi e bicchieri di carta ai senzatetto. Finiti i pasti da distribuire, una signora chiede lo scatolone del cibo rimasto vuoto, per rinforzare una specie di materasso di cartone sotto il sacco a pelo in cui dorme.
Più avanti si trova un angolo di corso Vittorio Emanuele II dove un signore e una signora aspettano seduti l’arrivo delle squadre di assistenza. Lui ha una lunga barba bianca e i capelli pettinati con cura, lei porta un cappello di lana e una sciarpa annodata ben stretta. Passano la giornata in questo punto da molti anni, con una coperta sulle gambe e delle pesanti valigie accanto. Sono a soli cinque minuti da quella Montenapoleone da poco salita sul podio delle vie dello shopping più esclusive al mondo. Quando i volontari arrivano portando cibo e vestiti, la signora si alza in piedi e prova qualche giubbotto, il signore stinge la mano ai ragazzi con la pettorina dell’associazione, sorride e ringrazia.
Lontano dal centro, in strade peggio illuminate e poco trafficate, un’altra associazione aiuta chi ha più bisogno ma meno attenzioni. SOS Milano, organizzazione nata nel 1974 da un gruppo di amici, si occupa di primo soccorso, sostegno a famiglie in difficoltà e assistenza ai senzatetto nell’area nord-ovest della città. «Per l’aiuto ai senza fissa dimora seguiamo un percorso ormai consolidato e controlliamo anche le segnalazioni che i cittadini possono fare a un centralino gestito dal comune», spiega Vittorino Riva, responsabile dell’unità mobile della sezione “SOS per senzatetto”.
A bordo di un furgoncino rosso, «l’unico con ancora i colori originali dell’associazione» – racconta Vittorino – l’unità di strada parte per il suo tour. Dergano, Affori, Quarto Oggiaro, quartieri di Milano che una volta erano paesi separati e ora sono tessere del mosaico della periferia, zone spesso difficili dove l’assistenza è vitale. Lungo il percorso si incontrano persone molto diverse tra loro: qualcuno non vuole niente, qualcun altro ha bisogno di cibo, acqua e persino un nuovo sacco a pelo perché il suo è stato rubato.
Ci sono nuovi arrivati e vecchie conoscenze come Assan, un omone alto due metri e di poche parole che beve cioccolata calda. «La portiamo solo per lui», dice Luca, membro della squadra mobile alla guida del furgone. C’è poi chi non ha nulla e non sembra farci caso: «Come va?», chiedono i volontari a Robert Ivan, che dorme sul cemento di uno spiazzo di fronte al laghetto del Parco Nord. «Benissimo, tutto benissimo», risponde lui stringendo in mano la busta con gli aiuti.
Sulla via del ritorno, il furgone si ferma accanto a una macchina parcheggiata lungo il marciapiede. La vernice blu sulle fiancate è molto sbiadita, le ruote non hanno i cerchioni e i finestrini appannati non si chiudono del tutto. Quando il camion di SOS Milano spalanca lo sportello laterale, la portiera della macchina si apre e una mano saluta dall’interno. È la mano di Giacomo, che nella zona tutti conoscono come Jack.
Giacomo ha cinquantaquattro anni e da diverso tempo vive nella sua vecchia “Clio”: «Questo è il quarto Natale che passo così», racconta. Fino a qualche anno fa aveva un impiego fisso e passava tutti i fine settimana sul Lago Maggiore, ma nel giro di poco tempo per lui tutto è cambiato. «Prima facevo allestimento nei negozi. Poi la ditta ha chiuso e io sono rimasto senza lavoro. Il problema è che ho il curriculum troppo pesante. Sono metalmeccanico di quarto livello, un’azienda dovrebbe darmi almeno milleseicento/milleottocento euro: alla mia età chi mi prende? Nessuno».
Dopo la scomparsa di sua madre, i rapporti tesi con la famiglia lo hanno portato ad allontanarsi: «Non andavo più d’accordo con mio papà e sono andato via di casa. Ho anche due sorelle e un fratello ma non li ho più sentiti. Io sono sempre stato uno con voglia di imparare, voglia di fare, poi mi sono rassegnato. Quando la vita ti prende a calci così… Per fortuna ci sono loro (i volontari, ndr.) e qualche amico di sempre che mi aiuta come può».
È il momento di rientrare, Giacomo ringrazia per il panettone in omaggio e saluta: «Ciao, buon Natale a tutti». Raccolti i sacchetti residui, il furgone rosso si allontana con il suo carico di tè avanzato e coperte inutilizzate, in attesa della prossima uscita.