Esclusiva

Gennaio 2 2024.
 
Ultimo aggiornamento: Gennaio 5 2024
Africa, il Piano Mattei è ancora tutto da scrivere

Il governo deve ancora definire la linea da seguire nel continente africano. Per gli esperti bisogna investire nell’educazione

Bambini che corrono dietro a un pallone rattoppato in strada. Sognando una carriera in Europa, a fianco dei loro idoli. Giovani malnutriti che non possono andare a scuola, e soffrono a causa di malattie. Volontari che li accudiscono. Cibo e acqua potabile che scarseggiano. Campi aridi, bruciati e tempeste di sabbia del Sahel. Violenze, guerre, colpi di stato e dittature militari. Esseri umani che attraversano il Mediterraneo dalla Libia, o dalla Tunisia, una terra vicina alla nostra Sicilia. 

Queste sono le immagini che molti europei associano all’Africa. Credendo che sia un paese, anziché un continente di 54 nazioni, secondo per superficie solo all’Asia, e più grande della Cina, gli Stati Uniti e l’India messi insieme.  

«Un continente giovane, diversificato, con molte lingue, culture, religioni, pieno di start-up e di energia positiva, ma anche con enormi iniquità economiche», afferma Beatrice Nicolini, professoressa ordinaria di Storia e istituzioni dell’Africa all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. 

Spesso ci si dimentica il suo potenziale inespresso, le risorse energetiche, minerarie, agricole. La professoressa insiste sul grano dello Zimbabwe, che «potrebbe sfamare il continente intero, senza bisogno di quello ucraino», e sulle rose keniote, dato che «pochissimi sanno che il Kenya è il primo produttore al mondo di rose». Tra i materiali africani più ambiti, il coltan, il gas naturale, i diamanti del Sud Sudan, il petrolio, e le terre rare per l’elettronica, abbondanti nel sottosuolo della Repubblica democratica del Congo. 

«Dell’Africa si conosce poco, al punto che, se dovessimo sostenere un esame con la cartina africana muta saremmo tutti bocciati», aggiunge la docente, citando un dato: «In Italia ci sono 31 africanisti, molti meno di quelli presenti alla Sorbonne Université di Parigi». 

Il Piano Mattei, lanciato dalla presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni a gennaio 2023, mette al centro l’Africa. Almeno sulla carta, perché il piano è ancora tutto da scrivere. Approvato dal Senato con 85 sì, il progetto quadriennale prevede una cabina di regia ad hoc presieduta da Meloni. Nell’ottica dell’esecutivo, il piano incorpora un approccio non predatorio sulla scia di Enrico Mattei, all’insegna della cooperazione, dell’ascolto dei paesi africani, del dialogo paritetico. Che porti ad uno sviluppo sociale reciproco, e alla stabilità politico-istituzionale dell’Africa. 

Il piano prende il nome dal fondatore dell’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi), soggetto protagonista della politica estera nostrana, che ha siglato partnership durature con vari paesi africani, come Algeria – primo fornitore di gas per l’Italia – Libia, Angola, e Mozambico. 

«Mattei è una figura politica importante per l’Italia e di straordinario respiro internazionale, così straordinario che ha pagato con la vita la sua politica, il suo entusiasmo, i suoi provvedimenti, il desiderio di trasformare un piccolo paese come l’Italia in una potenza mondiale competitiva con le famose 7 sorelle del petrolio», dichiara la professoressa. 

Le compagnie petrolifere dominanti lasciano poco agli Stati africani negli anni Cinquanta. L’idea rivoluzionaria dell’imprenditore marchigiano consiste nel garantire maggiori introiti alle nazioni produttrici, superando la regola in vigore del 50 e 50 tra aziende petrolifere e paesi produttori. 

Pur sostenendo che «ogni iniziativa e impulso promotore della conoscenza dell’Africa è positivo in un quadro desolante di ignoranza ed indifferenza verso il continente da parte degli italiani», la docente afferma che «c’è il contenitore, ma mancano i contenuti di questo progetto misterioso, non è chiaro cosa verrà fatto, con chi, e quali paesi africani siano stati identificati». 

Secondo la professoressa, il progetto deve esser strutturale, interdisciplinare e coinvolgere figure competenti che possano dialogare: «L’educazione, l’acquisizione delle competenze, prima dell’aspetto economico, dovrebbe essere il punto di partenza, perché l’Italia è molto forte nell’education, non ha niente da invidiare a nessuno».

«Mi sembra un elenco di buone, ottime intenzioni, ma che ci sia al momento poca concretezza, queste ambizioni meravigliose rischiano di tradursi in un nulla di fatto» racconta a Zeta Pietro Del Re, giornalista di “Repubblica” ed esperto di questioni africane, che parla dell’Africa come di un «continente ancora drammaticamente sfruttato». Lo scetticismo dell’autore di “Un po’ più a Sud: racconti africani” (Edizioni Iod, 2021), è dato dalla scarsità di risorse economiche dell’Italia e la mancanza di disegni chiari attorno ai due pilastri del piano: i flussi energetici e l’immigrazione. 

«Nonostante leader europei che cominciano ad aprire gli occhi su quella che potrebbe diventare la mina africana, e la maggior consapevolezza sul rischio di ondate migratorie devastanti», secondo Del Re, «gli occidentali dovrebbero pensare ad un Piano Marshall per l’Africa, aiutare i paesi emergenti con infrastrutture, sanità, ricerca, educazione, offrire ai paesi quelle strutture che consentirebbero un vero sviluppo sociale ed economico».  

Come emerge dalle parole degli esperti intervistati, il Piano Mattei è ancora tutto da scrivere. Le difficoltà sono molte, economiche e non. Forti sono infatti il risentimento africano e la diffidenza verso l’Europa e il passato coloniale. Le intenzioni devono accompagnarsi ai fatti, a sinergie con le realtà locali, e figure professionali che conoscono il territorio africano. L’educazione è centrale nel piano strategico identificato dagli esperti per promuovere la prosperità. In un continente che apprezza il sistema educativo della pioniera italiana Maria Montessori.