Il Museo Storico della Liberazione di Roma, che ad oggi rischierebbe di essere chiuso, tiene le sue porte aperte accogliendo un numero di visitatori persino maggiore del solito. Questo paradosso inizia il venti dicembre scorso quando il consiglio di amministrazione del museo è decaduto senza che il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano incaricasse dei nuovi successori. In attesa della nomina dei nuovi dirigenti, il presidente uscente Antonio Parisella avrebbe dovuto riconsegnare le chiavi del museo, ma ha deciso di non sospendere le attività.
La vicenda ha avviato un dibattito sull’inefficienza della burocrazia: la mancata risposta del ministero rischierebbe di compromettere il corretto funzionamento di un luogo simbolo della storia italiana.
Il Museo Storico della Liberazione di Roma in via Tasso 145, si trova all’interno del palazzo che dal settembre 1943 al giugno 1944 fu la sede del Comando del Servizio di Sicurezza delle SS e raccoglie documenti, manifesti e cimeli che raccontano la resistenza all’occupazione nazi-fascista della capitale. Gli ambienti dell’edificio sono stati conservati nelle condizioni originali dell’epoca, ed è ancora possibile entrare nelle stanze in cui furono reclusi più di duemila antifascisti.
Nei tre piani del palazzo in cui è allestita l’esposizione, le finestre murate, le sbarre di ferro e i segni sui muri mostrano il dramma dei detenuti. Sulle pareti e nelle teche in mezzo alle camere si trovano fotografie, giornali d’epoca, volantini della propaganda, lettere, medaglie, vestiti. Oggetti quotidiani di una storia di lotta e sofferenza.
Nell’elenco dei prigionieri c’è anche la staffetta Iole Mancini, rinchiusa nel maggio del ’44 perché rivelasse il nascondiglio di suo marito, il partigiano Ernesto Borghesi, evaso dal carcere di Regina Coeli. Iole riuscì a resistere al duro interrogatorio di Erich Priebke, l’ufficiale tedesco responsabile del massacro delle Fosse Ardeatine.
Dato il valore storico del luogo, la dirigenza del museo ha ritenuto che non fosse possibile chiudere per i ritardi causati dal Ministero. Decisione condivisa anche con un post sulla pagina Facebook della mostra, che ha dato inizio alla polemica con il governo.
La fine del museo non è mai stata un pericolo. «Si tratta di un malinteso» – afferma un membro del personale – «nessuno ha mai temuto che il museo chiudesse». Dall’amministrazione confidano che questa situazione è tutt’altro che eccezionale: ritardi di questo tipo sono frequenti, ma le attività proseguono in qualche modo.
Anche lo scontro politico sulla questione sarebbe inconsistente. Il ministero della Cultura finanzia da anni le iniziative del Museo della Liberazione. Lo stesso Sangiuliano lo ha visitato lo scorso 25 aprile e non ne ha mai prefigurato la chiusura. Al contrario, negli ultimi giorni è stato proprio il ministro ad assicurare che il nuovo consiglio direttivo sarà nominato a breve.
L’ipotesi di una chiusura e le controversie sono state una pubblicità inaspettata: «la nostra attività è continuata anche con più visitatori di prima», racconta un collaboratore del museo. In queste settimane molti cittadini allarmati dalla disputa burocratica hanno riempito le stanze di via Tasso. «Qualche giorno fa, affacciandoci alla finestra abbiamo visto che si era formata sotto al palazzo una folla di persone che protestavano contro la chiusura. Era una manifestazione di anarchici venuti dopo aver letto le notizie che circolavano. Sono poi saliti tutti in piccoli gruppi a visitare il museo».
Il Museo della Liberazione resiste, come ha sempre fatto, grazie al lavoro dei collaboratori e degli operatori volontari che ne garantiscono il funzionamento. Lavoro che l’approvazione del cda non è andata a influenzare.
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