La bandiera di Israele brucia mentre la folla intona cori contro gli Stati Uniti. A Sana’a, capitale dello Yemen, è questa la reazione del popolo al bombardamento angloamericano sulle postazioni degli Houti. L’offensiva avvenuta nella notte di venerdì ha causato cinque morti, secondo quanto dichiarato da Yahya Sarea, portavoce dei ribelli. «I raid sono una risposta agli attacchi contro le nostre navi nel Mar Rosso», ha replicato il Presidente statunitense Joe Biden. In un video pubblicato dal Comando centrale statunitense le immagini che precedono l’offensiva. Dalla portaerei Eisenhower cadono missili, droni e Tomahawk, bombe a guida laser.
Una settimana fa la Casa Bianca, insieme a una coalizione di dodici Paesi, aveva dato un ultimatum ai miliziani yemeniti: «Chiediamo l’immediata cessazione di questi attacchi e il rilascio delle navi detenute illegalmente», – avevano dichiarato da Washington – «Se continuerete a minacciare il commercio marittimo internazionale pagherete le conseguenze». Il Mar Rosso rappresenta una rotta chiave tra Europa e Asia, punto strategico per gli affari commerciali.
La rappresaglia era attesa da settimane. Adesso il rischio è un allargamento del conflitto tra Israele e Hamas, «proprio ciò che gli Stati Uniti stavano cercando di evitare», dice Guido Olimpio, giornalista del Corriere della Sera, che da anni segue il terrorismo legato alle crisi mediorientali.
Gli Houti, movimento sciita filoiraniano, controllano larga parte del territorio yemenita, compresa la capitale Sana’a. Insieme alle milizie di Hezbollah e Hamas hanno costituito un “asse di resistenza” contro Israele e Usa. Inseriti nella lista dei soggetti terroristici americana, il gruppo di ribelli era stato poi rimosso dall’amministrazione Biden, per favorire i negoziati nella guerra civile tra Houti e le fazioni appoggiate dall’Arabia Saudita. «Al momento si tratta di uno scontro solo militare – spiega Olimpio – ma sappiamo che la situazione in Medio Oriente è imprevedibile». Secondo il giornalista l’ipotesi di un attacco terroristico è, al momento, marginale anche se «qualcuno potrebbe decidere di compiere un attentato e dedicarlo alla causa yemenita».
Ad appoggiare l’azione notturna degli americani anche i governi di Australia, Olanda, Canada, Germania, Corea del Sud, Nuova Zelanda, Bahrein e Danimarca. La scelta dell’Italia è pattugliare senza aprire il fuoco. «Un approccio prudente per evitare rappresaglie», continua Olimpio, che spiega come la decisione tenga conto anche del coinvolgimento del Paese nell’ “Operazione Atalanta”, finalizzata al controllo della pirateria marittima.
L’attacco anglo-americano ha già causato pesanti effetti economici. Secondo l’Istituto per l’economia mondiale di Kiel, il numero di container trasportati sul Mar Rosso, dopo gli assalti yemeniti alle navi, è crollato del 70%. Molte navi mercantili dirette in Europa circumnavigano l’Africa evitando il canale di Suez, per scongiurare rischi. Tempi più lunghi si traducono in costi più alti. Dopo la notizia del raid, il prezzo del petrolio è aumentato del 4,4%, raggiungendo i 75,2 dollari al barile.
Ora ad essere coinvolto nelle tensioni geopolitiche potrebbe essere anche l’Egitto, che non ha preso una posizione militare netta. Il Paese che incassa circa 8 miliardi di dollari all’anno dal pedaggio delle navi nel canale di Suez, potrebbe subire una riduzione del 40% negli introiti.
A fronte dell’attacco, gli Houti giurano vendetta insieme ai loro alleati. «Stati Uniti e Gran Bretagna siano pronti a subire il pesante prezzo per quanto fatto», ha affermato Yahya Saree, tramite i media ufficiali. Si aprono scenari di alta tensione. «Potrebbero esserci altri attacchi contro le navi collegate a Israele o l’utilizzo di barchini esplosivi – ipotizza Olimpio – In ogni caso è un danno enorme per la navigazione globale».