Esclusiva

Gennaio 18 2024.
 
Ultimo aggiornamento: Gennaio 19 2024
McCullin, la partecipazione emotiva nel fotogiornalismo

La mostra del fotoreporter britannico Don McCullin è aperta al Palazzo delle Esposizioni a Roma fino al 28 gennaio 2024

La pioggia batte sui marciapiedi di Roma, mentre i passi dei visitatori rompono il silenzio nel Palazzo delle Esposizioni, sulle pareti scure gli scatti in bianco e nero del fotoreporter britannico Don McCullin danno dimensione allo spazio. Due giovani si stringono in un abbraccio davanti l’immagine di un bambino abbandonato in Bangladesh, altri scambiano pareri, i più osservano.

La mostra, esposta dal 10 ottobre al 28 gennaio 2024, curata da Simon Baker insieme all’artista e a Tim Jefferies, ci presenta il lavoro di una vita. Più di duecentocinquanta foto si dislocano in sei sale, ognuna con un tema preciso, tra spaccati di vita quotidiana e crude rappresentazioni di guerra, si fanno spazio culture lontane, paesaggi e nature morte, in cui si mescolano spiritualità e violenza, vita e morte. In ogni dettaglio il vero filo conduttore è la partecipazione emotiva: scatti affollati di gente, le cui emozioni sono trattate sempre con grande dignità. «Non faccio ciò che faccio come fotografo ma come essere umano», è questo il manifesto poetico di McCullin.

Tutti i visitatori hanno colto questo lato dell’artista, come Alessandro. In gioventù si dilettava nella fotografia, ma ammette di essere tornato ad una mostra dopo molti anni: «Ho visto la cartolina dell’evento, mi è sembrata così espressiva che ho deciso di venire, spinto dalla curiosità. Non sapevo chi fosse McCullin, ma ora sento di averlo conosciuto attraverso il suo lavoro, in cui intravedo quella malinconia nello sguardo che un po’ mi appartiene». L’interesse sociale lega i suoi ritratti: «Le fotografie sulle guerre, così come quelle sulla povertà, sono molto crude. Vengono immortalate situazioni diverse, ma tutti i momenti sono accomunati dal dolore provocato dall’uomo sull’uomo», aggiunge Alessandro. L’ultima sezione, dedicata ai resti architettonici dell’Impero Romano nell’area del Mediterraneo meridionale, ha risvegliato in lui vecchie emozioni: «Gli scatti a Palmira, in Siria, dove sono stato, mi hanno portato alla mente tanti ricordi. È stato bello rivedere la bellezza di quei luoghi».

Anche per Aurelio, appassionato di fotogiornalismo, è la prima volta: «L’ultima mostra fotografica che ho visto è stata quella di Robert Capa a Rovigo, lo scorso anno. Anche lì il tema dominante era la guerra, ma l’occhio di McCullin è diverso: non c’è solo un intento documentaristico, ma emerge una forte empatia per i soggetti rappresentati. Le due sale sui conflitti sono davvero scioccanti, il dramma è in ogni scatto».

Tra le sale ci sono anche Gianni e Giulia, padre e figlia, sono arrivati da Torino per la mostra. Gianni, ex militare, si è concentrato sulle immagini di guerra: «Per il mio passato è un tema che mi sta a cuore, ero alla ricerca di questa tipologia di mostre, dopo aver visto quelle di Capa e Arnold. Ho apprezzato anche gli scatti degli esordi perché mostrano i luoghi della sua formazione, la Londra operaia, mentre il mio gusto è più lontano dalla parte paesaggistica e dalla natura morta». Giulia, che per la sua età vive in modo diverso il rapporto con l’arte, è rimasta colpita dalla quarta sezione sulle immagini documentarie dall’estero, «In particolare le foto scattate in India. Alcune ritraggono la disabilità e la deformità ed è stato toccante vedere le persone per strada con tutte le loro problematiche. È come se avessi toccato i loro sentimenti grazie alla chiarezza espositiva dell’artista».

La mostra, in cui si alternano fotografie e spiegazioni, che assomigliano ad autentiche confessioni di McCullin, ha la capacità di farti entrare in una narrazione che affascina e commuove. “Non puoi fare finta di nulla”, è ciò che i suoi scatti gridano.