Esclusiva

Gennaio 19 2024.
 
Ultimo aggiornamento: Gennaio 21 2024
Carbonara a Roma, tra all you can eat e trattorie

Un viaggio culinario per scoprire uno dei migliori piatti della capitale. La domanda è solo una: All you can eat o trattoria de nonna?

Guanciale ben cotto, pecorino romano dop e tuorlo d’uovo sono i pochi ingredienti che servono per fare una buona carbonara. No panna, no pancetta, no salame, no parmigiano. La domanda a questo punto è solo una: dove mangiare la più buona a Roma? All you can eat o trattoria della nonna?

Eleonora Cozzella, giornalista del “Gusto”, testata di Repubblica e Stampa, esperta di enogastronomia spiega il fenomeno che si è creato dietro il piatto più instagrammabile del momento: «Molti turisti decidono di venire nella capitale solo per assaggiarlo. Il concetto del viaggio è cambiato, le persone vogliono viversi un posto anche attraverso il suo cibo. L’all you can eat è un modo per farlo. Questa tipologia però tira fuori un po’ la sindrome da buffet che c’è in ogni Italiano. Il successo è internazionale e lo dimostra il fatto che abbiano dovuto mettere delle regole come pagare di più se avanza del cibo. L’organizzazione di una buona catena inoltre veicola la cultura del food ai giovani o ai turisti. La trattoria invece è un altro ambiente: convivialità, contatto umano con l’oste, rusticità. Ti fai raccontare letteralmente ciò che bolle in pentola». Se cucinare la carbonara sembra una formula matematica dove uno più uno fa due, trovare la migliore a Roma pare un‘impresa. 

Nella capitale l’all you can eat ha avuto un grande successo, dopo il sushi a qualcuno è venuta l’idea di farlo con la cucina romana. Sono tre le principali catene presenti in città, Dar Bottarolo, Mattarello e Anvedi, con 30 punti vendita, che prediligono il “buffet al tavolo”. Un enorme successo da grandi fatturati.

Il primo a portare questo format nel 2014 è il ristorante Dar Bottarolo, sotto la famiglia Foffo, con un locale in Via Tiburtina. Oggi la catena vanta 23 punti vendita di cui uno a Milano. 

Alessio Muzzarelli, responsabile marketing del brand, ha raccontato: «Io insieme al mio socio Roberto ci siamo occupati del concept del marchio, ciò che volevamo offrire al cliente. La formula all you can eat, i padellini al posto dei piatti, acqua e vino no stop sono state alcune delle intuizioni che oggi rendono il nostro locale tra i più conosciuti. L’obiettivo alla fine era dare una comfort zone: sapere quanto si spende ancora prima di mangiare. Er Bottarolo inoltre è il locale che cucina più carbonare in Italia, piace all’80% dei nostri clienti. Ogni mese entrano 50.000 persone. Vi lascio immaginare quante volte cuciniamo questo piatto». Sul futuro della gastronomia Alessio è certo: «Le trattorie sono la colonna portante del nostro paese, ma il concetto dell’all you can eat è intramontabile. Siamo stati i primi a inventare questa formula. Mentre tutti gli altri alzavano i prezzi, noi aumentavamo il numero di sedi».

Se quindi da una parte ci sono i grandi marchi all you can eat, con portate in grande quantità, ma con un ambiente asettico e formale, dall’altra ci sono le trattorie di famiglia, con una storia e un’identità. In zona Monte Sacro c’è Osteria Sette, aperta da 70 anni e una delle più antiche del municipio III, tanto da essere nominata dal comune di Roma “bottega storica”. Un luogo malinconico dove i mobili arrivano dagli anni ‘50 e ‘70. Alcuni sono stati recuperati dalla casa dei nonni di Loris Sette, proprietario del locale: «Insieme a mio fratello mi occupo del locale nato nel 1952 e passato di generazione in generazione. È stata la prima attività di ristorazione del quartiere. La tradizione è di famiglia, quindi anche i piatti rispecchiano quell’essenza, ma con tecniche più moderne. Le persone apprezzano il cambiamento e la ricerca di materie prime, in un ambiente che le fa sentire a casa». Tra i vari piatti sul menù di Osteria Sette, il più richiesto è senza dubbio la carbonara: «Tutti i ristoranti romani si stanno dedicando a questo piatto. Va di moda anche sui social. Gli altri piatti che abbiamo sono all’altezza e hanno una storia anche più antica, ma il romano è legato alla carbonara».

«A livello economico la formula all you can eat può competere con tutti, a livello qualitativo invece è più difficile. Io mi sono accorto che il cliente romano apprezza le cose buone anche se hanno un prezzo più alto. Il nostro punto di forza è la storia del locale e la qualità. Non sono contro questi ristoranti, ma sono attaccato alle mie radici» conclude Loris, dando il suo parere sul format del rinfresco.

Emanuele Diana, chef dell’osteria, ha chiaro il successo della carbonara: «E’ un must qua al locale. Dopo il campionato di Eataly, dove abbiamo vinto, tutti hanno iniziato a chiederci questo piatto. Ci sono giorni che il 90% della clientela vuole solo carbonara. L’all you can eat? Io lavoro dietro le quinte e so che c’è una preparazione lunga dietro i piatti romani. Solo per cuocere il coniglio alla cacciatora ci metto due giorni, non so come facciano loro».

Le due realtà culinarie del territorio romano hanno due modi diversi di vedere la ristorazione, ma non la carbonara, la ricetta rimane sempre quella. 

«In cucina bisogna divertirsi e cercare di non essere troppo severi – sottolinea Eleonora Cozzella mentre indossa al collo un ciondolo con incisa la ricetta d’oro – per quanto riguarda la carbonara la tradizione è d’obbligo, ma è bene ricordare che è un piatto vivo, e che è cambiato rispetto a trent’anni fa. A questo argomento ho dedicato un intero libro, tracciandone la storia. Non parlo mai di ricetta tradizionale, ma parlo dell’evoluzione fino ad oggi a quella che consideriamo la carbonara perfetta». 

L’esperta di gastronomia conclude sui pro e i contro di due formule vincenti: «Quello che so è che le catene all you can eat non offuscheranno la gloria delle vecchie trattorie. In termini di storia e di contatto umano, la locanda ha un valore aggiunto. Se dovessi scegliere tra le due, un po’ per affezione, direi che l’osteria romana è quella che non muore mai. Perché lì la carbonara ha un altro sapore, fatto di ricordi e tradizione. L’importante è che siano sempre 180 gr».

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