Una foto scattata di nascosto in una situazione di intimità, un video girato durante un rapporto sessuale, a uso esclusivo della coppia, possono diventare contenuti da diffondere per vendetta o denaro.
Pornhub sta cercando da anni di contrastare questo fenomeno e da oggi, martedì ventitre gennaio 2023, chiederà a chiunque compaia nei video pubblicati di fornire una prova di consenso, come i moduli di liberatoria firmati.
Gli inizi
Nel gennaio del 2007 Matt Keezer, uno dei fondatori del portale porno Brazzers, acquista il dominio pornhub.com per 2.750$. L’idea era fondare un sito per la condivisione di video pornografici che funzionasse come Youtube, in cui ogni creator sarebbe stato editore di sé stesso e avrebbe potuto condividere il suo video pornografico, amatoriale e non.
Dieci anni più tardi, nel 2017, Pornhub è diventato il più famoso portale porno al mondo, con tredici milioni di video al suo interno e una media di visite giornaliere pari a centoquindici milioni. Il risultato si è raggiunto grazie alla scarsità di polacy a controllo dei contenuti diffusi. Ognuno poteva pubblicare ciò che voleva senza incappare in grossi rischi.
Le controversie
Nel 2020 la piattaforma di condivisione di video pornografici è entrata nel mirino di due testate giornalistiche: il Sunday Times e il New York Times. Quest’ultima aveva pubblicato un editoriale di Nicholas Kristhof che riportava le testimonianze di diverse donne vittime di abusi sessuali, talvolta anche minorenni, i cui video erano finiti su PornHub senza il loro consenso. L’inchiesta aveva riscosso un grande successo, tanto che Visa e Mastercard avevano tolto da PornHub la possibilità di elaborare pagamenti con i loro circuiti.
Dopo aver rimosso circa due terzi dei video presenti sul sito, la piattaforma ha cominciato a elaborare nuove policy per garantire maggiore sicurezza. Dal 2020 chiunque voglia caricare un video su PornHub è obbligato a sottoporsi alla verifica della propria identità. Per farlo occorre scattare una fotografia al proprio documento di riconoscimento ed eseguire una scansione del proprio volto in tempo reale.
L’anno successivo, nel 2021, è stata aggiunta un’ulteriore norma a tutela dei co-performer, i loro account devono essere verificati mediante un selfie che li rappresenti mentre tengono in mano il loro documento. Nello stesso anno, però, un gruppo composto da trentaquattro donne ha fatto causa al colosso del porno sostenendo che alcuni loro video intimi fossero stati diffusi sulla piattaforma senza il loro consenso. A seguito di queste accuse PornHub ha avviato una ristrutturazione interna: il CEO e il COO si sono licenziati, e la società MindGeek (che possiede PornHub) è stata acquisita dal fondo di private equity Ethical Capital Partners.
La nuova norma e il problema del consenso
Secondo la scrittrice e attivista Benedetta Lozito occorre riflettere su cosa si considera come consenso: «Al momento non ci sono indicazioni in merito alla revocabilità. Se io decido di girare dei porno e pubblicarli e poi voglio rimuoverli dalla piattaforma, come si pone il fatto di aver firmato una liberatoria per finire su PornHub?». I contenuti sono scaricabili, questo non tutela la sicurezza di chi compare.
Non c’è solo la questione del consenso, ma anche del tipo di rappresentazioni veicolate: «Sulle piattaforme mainstream- continua Lozito- la pornografia è fallocentrica, eteronormata e violenta. Dà esclusivamente idea del piacere maschile e viene diffusa senza una segnalazione che espliciti che quello è un role play, cioè una sorta di finzione». Il problema del porno mainstream rimane e, sostiene Lozito: «non si conclude con una liberatoria».
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