Lo smart working «è una questione di equilibrio, bisogna fare un passaggio generazionale», dice Francesco Maria Spanò, curatore del libro “Lo smart working tra la libertà degli antichi e quella dei moderni” e direttore People & Culture dell’università Luiss. Ma in quale luogo? In che modo? «Questa è la capacità che devono avere i manager, capire quanto è di valore lavorare nella stessa sede tutti insieme o con modi e tempi diversi. Non è facile trovare questo bilanciamento».
L’incontro sullo smart working che si è tenuto presso l’Università Luiss il 24 gennaio ha dato luogo a numerose riflessioni che ruotano intorno al dualismo intrinseco in questa modalità lavorativa.
Rifacendosi alla distinzione di Montesquieu tra repubbliche militari, come Sparta, e repubbliche commerciali, come Atene, la Presidente della Luiss School of Law Paola Severino ricorda come la nostra sia paragonabile alla seconda tipologia. In questo tipo di repubbliche c’è libertà di agire, non senza limiti, ma in funzione della realizzazione di un risultato. Il lavoro “smart” consente più libertà, sia negli orari sia nel dinamismo, sostituendo il tema della qualità delle ore lavorative a quello della quantità. Le relazioni digitali, però, non devono sostituire quelle umane, devono supportarle e affiancarle. Tutto ruota attorno a questo bilanciamento tra autonomia e relazione umana.
Attraverso storie professionali e testimonianze, il libro di Spanò volge lo sguardo al passato ma anche al futuro. Dopo un excursus storico, l’autore chiude il testo con una suggestione: una proposta di legge per la promozione del lavoro agile nei piccoli comuni. Lo smart working, infatti, «potrebbe definirsi come l’esercizio di una libertà post-moderna». Ma che cosa si intende con questo?
Roberto Pessi, professore emerito di diritto del lavoro alla Luiss, pone in risalto la digitalizzazione, terreno fertile su cui si è sviluppato lo smart working. In particolare, il professore distingue due aree di riferimento: una dove si può utilizzare il dialogo digitale, l’altra dove questo non ha accesso. Si pensi a lavori come il bagnino, la badante, il cameriere, il sommelier. «Il quadro di riferimento si articola tantissimo» e «il dibattito sullo smart working diventa un dibattito sull’essere e il dover essere del diritto del lavoro».
La complessità del tema viene evidenziata anche dal prorettore per l’organizzazione e la faculty Luiss, Luca Giustiniano: «Ci sono tipologie di lavoro che non sono sostituibili o comparabili». Secondo Giustiniano, il luogo di lavoro serve per fare qualcosa che le tecnologie digitali non riescono a replicare perché siamo esseri umani. «Forse abbiamo confuso la flessibilità con le tecnologie» perché la questione «non riguarda solo il luogo ma anche il come». Questa l’intuizione del prorettore.
Importante anche il dibattito intorno alla misurazione dei risultati. Si lavora per un obiettivo che deve essere realizzato e, di conseguenza, misurato. Quando vengono introdotte le metriche, tuttavia, Giustiniano invita ad essere cauti: il rischio è di concentrarsi sull’indicatore e di perdere di vista il fenomeno. Tesi che viene sostenuta anche da Raffaele Fabozzi, professore di diritto del lavoro alla Luiss. La preoccupazione è che diventino importanti solo i risultati, che le persone contino meno.
«Dobbiamo concentrarci sulla costruzione di un rapporto tra datore e lavoratore che renda la performance rilevante, senza misurare le cose col cronometro», aggiunge il giornalista Stefano Feltri.
Al centro rimangono le relazioni umane, argomento con cui la presidente Severino ha aperto l’incontro e che viene ripreso da Alessandra Ricci, amministratrice delegata di Sace s.p.a, gruppo assicurativo-finanziario specializzato nel sostegno alle imprese. La CEO ha raccontato come la società abbia adottato un concetto di smart working estensivo, senza limiti di orari né di giorni. Il fulcro sono le relazioni tra datore e lavoratore e anche tra lavoratori: non è il datore che decide, sono i lavoratori che devono capire quando è il momento di aggregarsi, quali attività vanno svolte sul luogo con i colleghi e quali invece possono essere fatte da remoto. Si introduce il concetto di empowerment: alle persone vengono date autonomia e libertà ed è proprio questo che genera valore all’interno dell’impresa.
Difficile attribuire dei confini netti a un tema così variegato. Lo smart working è uno strumento molto potente che «ha diviso la presenza dall’esserci», dice il direttore generale della Luiss Giovanni Lo Storto. Oggi si può “esserci” anche senza la presenza, ecco il grande potere di questa modalità lavorativa. Sta all’individuo rimanere connesso, sfruttare le sue competenze e capacità. È una sfida tra l’uomo e la sua stessa rilevanza.
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