Un cappotto rosa con dei bottoni gioiello, e un set di tazze da the beige con il manico oro e delle piccole roselline blu lungo il bordo superiore. C’è qualche graffio e il soprabito è un po’ sbiadito: «Se si porta in tintoria torna come nuovo, non ne fanno più così», le parole di Emma, commessa in un negozio vintage a Roma, a chi stava pagando la merce in cassa.
A partire dal 2020 sono stati 23 milioni gli italiani che hanno abbracciato la cultura dell’usato, di cui il 14% per la prima volta. I dati emersi dall’Osservatorio Second Hand Economy 2020 condotto da BVA Doxa, attestano che sta avvenendo un cambio di mentalità verso comportamenti più sostenibili, e evidenziano il crescente impatto di una forma di economia circolare nel mercato. Eppure l’Italia, nonostante i numeri positivi, fatica di più rispetto altri paesi europei ad affidarsi a questa pratica di acquisto: è quanto emerge dalle parole di Emma. «Noi abbiamo aperto questo negozio dieci anni fa e adesso, soprattutto dopo la pandemia, c’è stato un aumento dei consumatori, anche se sono per la maggior parte stranieri». Accanto alla cassa una mensola con tre o quattro borse in cuoio: «I giovani cercano queste cose – dice la commessa mentre guarda una tracolla in pelle vera – sono più attenti a cercare qualcosa di qualità, che non troveranno nei negozi di fast fashion».
Una maggiore richiesta, ma anche un più ampia offerta: «Ogni giorno riceviamo tantissime persone che vengono qui per vendere vestiti e quello che trovo più positivo – aggiunge Emma – è che molti di loro investono i soldi guadagnati dalle vendite in altri capi e oggetti second hand. Piano piano la gente si sta educando a fare acquisti più consapevoli», conclude l’impiegata. La pensa allo stesso modo anche Daniel, responsabile di “Mercatino” in via Appia, un negozio dell’usato di vestiti e arredamento: «Abbiamo notato che l’età media si è abbassata molto rispetto a cinque o sei anni fa, entrano soprattutto giovani anche per arredare casa con mobili seminuovi, capitano molti affari – e sottolinea – invece di buttarli, li portano qui sia per recuperare, riciclare e risparmiare, sia per aiutare l’ambiente». Il responsabile racconta: «Siamo andati in alcune classi elementari e medie per sensibilizzare i bambini e i ragazzi sul tema del second hand, ogni bambino – spiega – ha portato un gioco o qualcosa che non usava più per scambiarlo». Ogni angolo del negozio è coperto da teche per mostrare bicchieri, teiere, piatti e posate, scaffali di libri e vinili vintage, ache una zona, tra i frullatori da cucina e gli ombrelli per la pioggia, con un intero reparto di tazze da i colori vivaci alle più sobrie. Nella parte dietro, tutto l’abbigliamento, con un settore di accessori e abiti di lusso: «Queste sono tutte appena arrivate – dice Daniel indicando delle borse griffate alle sue spalle – le persone ce le portano perché magari ne hanno molte o perché non le usano più». Quando qualcuno porta degli oggetti in negozio, avviene prima una fase di valutazione e dopo di vendita al prezzo concordato. «Siamo molto soddisfatti di come stiano andando gli affari e speriamo che la clientela possa aumentare», conclude il responsabile.
A Roma un altro modo per avvicinarsi al vintage e al second hand è il mercato di Porta Portese, quando la domenica mattina a partire dalle 7, decine e decine di bancarelle occupano le strade di via Ettore Rolli e via Portuense. «Gli affari migliori si fanno appena tutto è stato montato», confessa un signore mentre cerca di contrattare sul prezzo di una lampada verde anni ’60. Dai vestiti con ancora l’etichetta, alle giacche in vera pelle, pellicce, o cravatte dalle fantasie interessanti. Ragazzini cercano tra i tanti capi accatastati l’occasione migliore, pochi metri dopo ci sono banchetti per collezionisti o curiosi di pezzi da arredamento particolari, si può trovare di tutto a Porta Portese.
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