In fondo a un corridoio bianco la cima del campanile di Curon emerge dalle acque ghiacciate del lago di Resia, in Alto Adige. La celebre torre, fotografata in un paesaggio spettrale, è uno degli otto edifici al centro della mostra “Architetture inabitabili”, organizzata da Archivio Luce negli spazi della Centrale Montemartini, al quartiere Ostiense di Roma. L’esposizione, aperta dal 24 gennaio al 5 maggio e curata dalla presidente di Cinecittà, Chiara Sbarigia, con Dario Dalla Lana, esplora il fascino di architetture invivibili attraverso centocinquanta fotografie di grandi autori italiani. Ai capolavori di Gianni Berengo Gardin e Guido Guidi, si affiancano quelli di autori stranieri come Mark Power e Steve McCurry, più altre immagini commissionate per l’occasione ai fotografi Francesco Jodice e Silvia Camporesi. Dal Gazometro di Roma al Lingotto di Torino, dal Memoriale Brion di Altivole al Cretto di Gibellina, fino agli ex Seccatoi di Città di Castello. Strutture impraticabili ma al contempo simboli dello sviluppo artistico e industriale italiano.
In un angolo della prima sala, una ragazza osserva vecchie cartoline del campanile della chiesa romanica di Curon, l’unica testimonianza del paese che nel dopoguerra fu evacuato e sommerso per creare un lago artificiale: «È un’immagine molto poetica – dice – Mi piace la connessione fra distruzione, ricordi e costruzione. Sono un’archeologa spagnola, ero venuta per vedere un’altra mostra, dedicata all’arte romana, ma queste fotografie mi incuriosivano molto».
Nelle sale dell’ex centrale elettrica di via Ostiense, il racconto delle architetture si intreccia con la storia d’Italia. Gli ex Seccatoi di Città di Castello accolsero molti volumi alluvionati della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze nel 1966. Undici edifici enormi costruiti per la coltura del tabacco e caduti in disuso fino agli anni Novanta, quando il pittore Alberto Burri li ha trasformati in un affascinante spazio espositivo. Gli scatti di Camporesi ne esaltano i dettagli attraverso uno stile pittorico. «Le fotografie sono opere d’arte – afferma un ragazzo che le scruta con interesse – Alcune sembrano dipinti, mi piace molto questa tecnica». Accanto a lui c’è Irene, che conferma: «La mostra è originale perché unisce testimonianze del passato a immagini del presente. Mi affascinano l’architettura e il recupero di luoghi abbandonati. L’Italia ne è piena, questa mostra incentiva a riscoprirli».
L’esposizione celebra tre strutture di alta ingegneria risalenti al Ventennio fascista. Il comprensorio del Lingotto di Torino, la celebre fabbrica Fiat con la pista di collaudo sul tetto, la torre Branca a Milano, un traliccio littorio con belvedere dell’architetto Gio Ponti, e il Gazometro di Roma. Quest’ultimo, alto quasi novanta metri, è divenuto uno degli edifici iconici della capitale. Un cinegiornale Luce ne racconta la costruzione nel 1936, con filmati in cui decine di operai stringono bulloni sospesi nel vuoto, senza alcuna imbracatura di sicurezza. «È bello raccontare le storie di chi lavorò per costruire queste architetture. Sono luoghi di fatica, è importante conoscerli, soprattutto per i giovani» dice la signora Gabriella. La popolarità del Gazometro è testimoniata dalla presenza in molte pellicole del cinema: su una parete a sinistra, sono raggruppati fotogrammi di “Sciuscià” di Vittorio De Sica, “Storia d’amore” di Citto Maselli (1985) e “La banda degli onesti”, con Totò in primo piano.
«Sono venuta alla mostra perché sono molto legata alla visione pasoliniana della forma delle città» continua Gabriella, che indica la foto più toccante, in cui un pensieroso Pier Paolo Pasolini osserva il panorama romano dal monte dei cocci, nel quartiere Testaccio. È il 1959, lo scrittore è ancora poco conosciuto, ma nel suo sguardo si coglie tutta la disapprovazione per le nuove costruzioni, colpevoli di aver squarciato l’armonia della capitale.
La mostra termina al secondo piano, dove filmati dell’Archivio Luce scorrono su due schermi. Seduti su un divanetto, marito e moglie si abbracciano. Un bambino chiama il padre alla finestra: il Gazometro svetta sui tetti di via Ostiense.
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