Esclusiva

Gennaio 30 2024.
 
Ultimo aggiornamento: Gennaio 31 2024
Ribellione e disincanto, Davide Sgambaro alla Quadriennale

Davide Sgambaro è il protagonista della sedicesima mostra di “Portfolio”, un ciclo espositivo organizzato dalla Quadriennale di Roma e dedicato ad artisti italiani under 35

Le fredde luci al neon colpiscono le pareti bianche di una piccola sala al piano terra. Al suo interno, in una teca di vetro, è custodito un fuoco d’artificio esploso. I colori accesi del suo involucro spiccano sulla lamiera d’acciaio dove è stato abbandonato. Poco lontano, un alone di polvere da sparo brunisce la superficie lucida che riflette un vuoto lattiginoso e opprimente. 

Così si presenta ai visitatori I Push a Finger into My Eyes, l’opera di Davide Sgambaro che sarà esposta dal 26 gennaio al 18 febbraio 2024 presso il Museo di Palazzo Braschi nell’ambito di Portfolio, una sezione del ciclo espositivo Quotidiana. Il progetto è stato ideato e prodotto dalla Quadriennale di Roma, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura capitolina, per approfondire alcuni degli orientamenti più significativi dell’arte italiana del XXI secolo.

«Portfolio è dedicato ad artisti under 35 sia in formazione che con trascorsi istituzionali», spiega la curatrice Gaia Bobò. «Ogni mese la direzione della Quadriennale seleziona un giovane talento di cui espone un’unica opera capace di restituire in modo significativo la sua poetica». Riguardo all’attività di ricerca che svolge sulla produzione di ogni artista Bobò racconta: «In occasione di ogni esposizione viene pubblicato un Portfolio scritto da me – da qui il nome della sezione – che contiene una riflessione critica sui loro lavori e li inserisce all’interno di un ragionamento, di un circuito di idee».   

Veneto, classe 1989, Davide Sgambaro si definisce «Un artista poliedrico che ragiona sulle dinamiche generazionali, in particolare quelle che riguardano i Millennial, e su ciò che rientra nella sfera del desiderio e del rapporto con il futuro prossimo». Dinamiche che ha sempre affrontato attraverso la narrazione di una quotidianità stanca e vuota. 

Le sue opere sono costituite da una serie di oggetti tutti simili fra loro che possono essere modificati nel tempo. «La cosa più importante in questi lavori è il disegno che si va a creare», spiega l’artista. «Nel caso di I Push a Finger into My Eyes, non posso manovrare il petardo per fare un disegno preciso sulla superficie d’acciaio. Con questo gesto, il concetto che voglio portare all’attenzione – che poi si collega alla mia storia generazionale – è non avere il controllo sul proprio tempo, il doversi barcamenare, il cercare di riuscire a fare bene qualcosa anche senza avere la potenzialità e gli strumenti. Questo è il concetto di base che muove molte delle mie serie».

I Push a Finger into My Eyes - Davide Sgambaro ("Quotidiana" - Palazzo Braschi, Roma)
I Push a Finger into My Eyes – Davide Sgambaro (Quotidiana – Palazzo Braschi, Roma)

Sull’eventuale modificabilità dell’opera nel tempo Sgambaro chiarisce: «Questo lavoro ragiona anche sulla possibilità di andare a rifare continuamente quest’esplosione. Quindi il disegno cambierà sempre. Se venisse acquistato, il collezionista potrebbe decidere se mantenere il disegno tracciato dalla polvere da sparo o se pulire la superficie e rifare l’azione. In questo caso, inviterei il proprietario a fare quello che ho fatto io per la prima volta». 

E a chi gli chiede che cosa sia l’arte per lui risponde: «Per me l’arte non sta tanto nell’oggetto che il pubblico si aspetta di vedere. Io ragiono sulla produzione di immagini e sulla iperproduzione di contenuti. Certe volte non so come alcune mie tecniche che ho usato si mantengano nel tempo. Perciò, quando vendo questi lavori, come ad esempio i quadri di M&M’s, do sempre delle istruzioni e delle regole per rifarlo. L’arte diventa un atto performativo».

I Push a Finger into My Eyes, così come tutte le altre opere di Sgambaro, nasconde dietro un aspetto dimesso molte possibili interpretazioni che alludono ad una critica della società contemporanea. 

Come scrive Gaia Bobò nel Portfolio, la teca di vetro, che di solito protegge gli artefatti artistici da urti e collisioni, custodisce al suo interno le tracce di un evento traumatico già avvenuto, che non lascia più nulla da preservare. «I resti dei fuochi d’artificio, conservati all’interno della teca, sono lì come memoria di un avvenimento già consumato e irrecuperabile». Allo stesso tempo, «Le tracce dell’esplosione divengono i significanti dei corpi che hanno portato a compimento l’azione stessa e che, tramite la loro assenza, si affermano come i reali protagonisti dell’opera». 

A questo proposito Sgambaro aggiunge: «C’è una tensione teorica nell’opera, che porta a pensare alla spettacolarizzazione mediatica. La teca protegge qualcosa di distrutto. L’acciaio fa risaltare la bruciatura, quindi la violenza. È la descrizione dei nostri ultimi venti anni, caratterizzati dal voler rendere tutto spettacolare e funzionale a un guadagno».

Come già accennato prima, un tema sotteso nell’opera è il ritmo rapidissimo che ha scandito e scandisce ancora le vite di una generazione minacciata dalla fear of missing out, la paura di essere tagliati fuori da esperienze gratificanti, che la obbliga a non essere mai davvero in un solo luogo e mai davvero presente a sé stessa. Ma, a quella che potrebbe essere considerata una dittatura, Sgambaro contrappone piccoli gesti di ribellione, come accade in No more blue Tomorrows, in cui uno sputo si trasforma in un gioiello da indossare, un piercing alla lingua da portare come un amuleto.

Per l’artista questi: «Sono gesti in cui c’è resistenza ma anche un po’ di speranza. Entrambe ti portano a pensare che si può anche dire di no, e da questo poi cominciare a cercare. È naturalmente un’utopia. Quello che a me interessa è creare un’esperienza che sia riconoscibile, e che permetta alle persone di sviluppare un’affinità con l’oggetto».