Esclusiva

Febbraio 18 2024
La celebrazione del podcast: Chora Volume 1

Al primo festival di Chora Media ci si interroga su come le storie possano diventare racconti

«Il podcast consente di dare un grado di disintermediazione che la scrittura non può offrire» afferma lo scrittore Paolo Giordano dal palco della sala Rossini del Conservatorio di Milano, dove si è tenuto il primo festival della media company Chora: “Volume 1”. 

«Il Conservatorio di Milano è stato il primo luogo a cui abbiamo pensato quando abbiamo deciso di organizzare la rassegna» commenta Francesca Milano, direttrice responsabile di Chora News. Il messaggio è chiaro: portare l’ascolto al centro dell’esperienza. Lo si evince camminando per le scale del Conservatorio ,nentre ha luogo il Festival gli studenti fanno le prove e ci si imbatte in ragazzi di vent’anni con gli strumenti in mano, mentre suonano il violino, qualche nota alla chitarra, una partitura di pianoforte. Sembrano due cose diverse ma è lo stesso: ascoltare, rinunciare all’immagine per far trionfare la parola.

All’ingresso una lunga fila si incolonna sul ciottolato di via Conservatorio numero 12 in attesa di entrare. Le sale gremite di persone di tutte le età, più donne che uomini, i partecipanti chiacchierano con i vicini prima che inizi il panel: «Quanto mi fa ridere Luca Bizzarri» dice una signora all’amica che ribatte :«ah, io proprio non lo sopporto». E ancora: «Cecilia Sala ha soli ventotto anni ed è già andata ovunque, che fegato!» per pochi minuti si allacciano conversazioni con persone che non si rivedranno più che accomunate dalla stessa passione per il podcasting sono desiderose di condividere suggerimenti e nuove uscite. Eppure secondo Francesca Milano qui c’è solo una parte del pubblico: «Pensiamo che il podcast sia uno strumento per le nuove generazioni, è a loro che parla. Gli eventi live invece sono più adatti a un pubblico adulto, i giovani non passano il sabato pomeriggio chiusi in una sala».

I tre giorni dedicati alla celebrazione del modo contemporaneo di chiamare la cosa più antica del mondo, la narrazione orale, hanno chiamato a raccolta tutte le voci protagoniste del podcasting italiano. Le danze sono state aperte venerdì sera da Cecilia Sala che poco prima di partire per l’Ucraina ha intrattenuto una sala colma raccontando come si costruisce il suo podcast Stories. 

Francesca Mannocchi ha posto un interrogativo ai suoi ascoltatori: le espressioni che usiamo nei TG per sintetizzare le guerre, sono adatte? Formule burocratiche come “minore non accompagnato” sono entrate con naturalezza nel lessico comune e non si riflette più su ciò che rappresentano. Ecco, spiega Mannocchi, quella espressione sintetizza il viaggio di una persona, un ragazzo di età inferiore ai diciotto anni che è partito, solo, ha affrontato un lungo viaggio e si è ritrovato, sempre solo, in un altro paese, senza avere nessuno né conoscere la lingua. Sciogliendo le formule si recupera l’umanità che sta dietro le storie che si raccontano, dietro il lavoro giornalistico. Ed è quello che Mannocchi ha tentato di fare nel suo podcast “Per esempio, la guerra” registrato nelle prime medie e quinte elementari romane di fronte a bambini armati di ingenuità che l’hanno assediata di domande tutte, dice, molto pertinenti. La guerra si ferma con le parole, le ha detto Marco, dieci anni, in una di queste sessioni.

Alessandro Borghi, attore, Stefano Bises, sceneggiatore, Chiara Messineo, produttrice e documentarista e Barbara Salabè, presidente di Be Water (holding che possiede Chora Media) moderati da Mario Calabresi, fondatore di Chora, si interrogano su come le storie possano diventare racconti. Poi Pablo Trincia presenta in anteprima alla sala Verdi il suo nuovo podcast sugli attentati a Roma: “Sangue Loro- Il ragazzo mandato a uccidere”. Il gran finale di domenica: Mario Calabresi e Luca, Sofri, Francesco Costa e Simone Pieranni con Usa vs Cina, un’ora di Barbero. 

Cambiano la forma e le modalità di fruizione ma l’interesse per le storie rimane vivo. 

I cantastorie- sceneggiatori, scrittori, giornalisti- sono quelli che credono nella potenza della testimonianza. «Chi è in grado- dice Stefano Bises – di dare dignità anche a una storia minuscola riuscendo a trovare la narrazione adatta a trasformare il particolare in universale».

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