Esclusiva

Febbraio 22 2024.
 
Ultimo aggiornamento: Febbraio 29 2024
Il monumentale di Milano quando un cimitero diventa un museo

Dopo 158 anni dall’inaugurazione, il «museo a cielo aperto» continua a raccontare una storia collettiva che prende forma grazie a elementi simbolici, manufatti architettonici e scultorei e la ricchezza inestimabile delle opere che vi sono custodite, in ricordo delle persone che vi riposano

«Fatto di pietra e terra, luce e ombra, colori e suoni. Poi di acqua che sgorga e compone una colonna sonora che si accompagna allo scalpiccio dei piedi sulla ghiaia e al profumo dei fiori». Questa è la descrizione del cimitero monumentale di Milano, inaugurato il 2 novembre 1866, della direttrice Giovanna Colace.

Il cimitero nasce a seguito di un bando che l’amministrazione comunale indisse. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, vinse il progetto di Carlo Maciachini, un architetto apprezzato per il suo stile eclettico, che escogitò un’idea diversa dal solito, allontanandosi dal classico concetto di cimitero comune a tutti. Inizialmente, il luogo copriva un’area di circa 180.000 m², ma oggi – con i successivi ampliamenti – ha raggiunto i 250.000 m² con 20 reparti e sezioni.

Nel 1877, fu realizzato il Famedio, letteralmente “tempio della fama”. All’inizio era stato pensato come una chiesa cattolica, poi Maciachini decise che questo edificio dovesse diventare un luogo di sepoltura e ricordo dei milanesi che, attraverso opere e azioni, avevano reso illustre la patria. Oggi, il Famedio si trova al centro del cimitero, affacciato sul piazzale di ingresso principale.

«Le persone tumulate all’interno del Famedio possono essere proposte da singoli cittadini, gruppi di persone, associazioni o politici. Poi c’è una Commissione, in seno alla Presidenza del consiglio comunale, formata da diversi assessori, che decide quali saranno le persone che effettivamente si sono distinte, sulla base della lista di proposte che ogni anno arriva», dice Colace.

Dal 2021, Carla Fracci, icona italiana del balletto e prima ballerina alla Scala di Milano nel 1958, è la prima donna ad essere tumulata nel Famedio, dove sono presenti le spoglie di soltanto altre sette persone: Alessandro Manzoni – al centro dell’edificio – Carlo Cattaneo, Luca Beltrami, Salvatore Quasimodo, Carlo Forlanini, Bruno Munari e Leo Valiani. «Altri personaggi famosi sono ricordati attraverso targhe e iscrizioni onorarie, oppure sono tumulati nella cripta inferiore, dove troviamo Franca Rame e Dario Fo, Giorgio Gaber e Alda Merini», continua la direttrice.

«Come mai Fracci è la prima donna tumulata nel Famedio? Credo che ce lo spieghi la società in cui viviamo. Per le donne è sempre stato più difficile essere riconosciute. Ancora oggi portiamo avanti delle battaglie. Alcune associazioni si sono anche accorte che perfino nei nomi scritti sulle pareti del Famedio c’è una prevalenza maschile. Non è che le donne non siano famose, non si siano distinte. Il fatto è che la nostra società stenta a riconoscerle», aggiunge Colace.

Oltre ad essere un luogo di preghiera, silenzio e raccoglimento, il cimitero ospita anche nuove iniziative ed eventi per celebrare la memoria collettiva. L’anno scorso, è stato organizzato un omaggio ad Alda Merini con una lettura di poesie itinerante per i vicoli del cimitero. A settembre 2023, dopo gli episodi di violenza di genere e femminicidi della scorsa estate, l’associazione Cetec, Centro Europeo Teatro e Carcere, ha portato in scena il monologo Stupro di Franca Rame, con l’intenzione «di lanciare un grido di dolore, che dal monumentale ha assunto anche un senso più profondo», spiega la direttrice. Il prossimo evento sarà l’8 marzo, in onore della Giornata internazionale della donna, e si tratterà di «un percorso al femminile, dedicato alle grandi donne sepolte al cimitero» organizzato dalla Consulta Femminile di Milano.

Colace paragona il proprio lavoro a quello di un direttore d’orchestra. Questo luogo, spiega, è composto da tante voci: ci sono gli operai – che svolgono le operazioni cimiteriali – le ditte dell’appalto, le agenzie di servizi funebri, i marmisti, i pulitori, i giardinieri e i lapicidi, che sono coloro che incidono le lapidi.

«È importante riuscire a generare benessere fra le persone che lavorano qui. Svolgere un impiego che ti costringe a stare sempre a contatto con la morte per alcuni potrebbe essere un disagio, anche se in realtà l’ambiente è molto sereno. Forse, dopo un po’, cambia l’approccio di ognuno di noi con il concetto della morte. L’altro aspetto importante è rispettare la sensibilità dei cittadini che vengono qui in visita per partecipare agli eventi, oppure alla ricerca di un momento di solitudine», spiega la direttrice.

«Questo luogo ha un fascino irresistibile. Ha proprio la vocazione di essere un “museo a cielo aperto” per la ricchezza delle opere che vi sono custodite e delle vite delle persone che ci riposano. Ti regala una passione che si rinnova ogni giorno, scorci e sguardi sempre diversi e la storia collettiva che prende forma, rappresentata tra elementi simbolici, manufatti architettonici e scultorei, specchio proprio della società dei vivi» – continua Colace – «Questo specchio lo si percepisce anche dal cancello. Il monumentale non è chiuso dentro un muro di cinta che non fa vedere al suo interno. Al contrario, è come un pizzo fatto all’uncinetto, che non si frappone alla vista del dentro da fuori e del fuori da dentro», conclude.