A Fairfax, in Oklahoma, una luce rischiara la terra degli Osage, tribù di nativi americani. La popolazione indigena scopre di essere tra le più ricche degli Stati Uniti grazie ai giacimenti di petrolio che si trovano nei suoi territori. Criminali bianchi, disposti a tutto pur di impadronirsi della fortuna, commettono una serie di omicidi. In questa storia il male si intreccia con l’amore e la compassione, restituendo una pellicola ricca di sfaccettature che rappresentano l’umano nelle sue declinazioni più controverse e inquietanti.
Gli eventi delineati in Killers of the Flower Moon avvengono in un periodo conosciuto come il “Regno del terrore”, così soprannominato dai giornali dell’epoca in seguito alle atrocità perpetrate nei confronti degli Osage. Il titolo, coniato più tardi, fa riferimento al termine tratto dall’almanacco del “vecchio contadino”, un calendario che prevede eventi e calamità naturali. Ogni plenilunio ha un nome diverso a seconda del mese e la Luna dei fiori è quella di maggio, quando nel 1921 inizia il regime del terrore con il ritrovamento del corpo di una nativa americana. In quel periodo, nel nord America, sbocciano anche alcuni fiori che presto appassiscono per lasciare spazio a piante più grandi che, nel cambio di stagione, consumano tutta l’acqua e la luce. Questo evento in natura è metafora di quello che accade nel 1921 alla tribù indigena, decimata dall’irruzione di intrusi bianchi.
Leonardo Di Caprio, nei panni di Ernest Burkhart, e Robert De Niro, che interpreta William Hale, nipote e zio senza scrupoli nell’America degli anni ’20, sono i protagonisti dell’ultimo film del regista Martin Scorsese, candidato agli Oscar nella categoria Miglior Film. La storia si ispira al romanzo di David Grann Gli assassini della Terra Rossa: affari, petrolio, omicidi e la nascita dell’FBI. Una storia di frontiera e si basa su vicende accadute.
Dopo la Prima guerra mondiale Ernest fa ritorno in Oklahoma per vivere con il fratello Byron e lo zio. Grande proprietario terriero che si fa chiamare “il re”, Hale si mostra come un benefattore nei confronti degli indigeni, ma il suo intento è quello di distruggerli e sottrarre loro le ricchezze. Per raggiungere il suo scopo, suggerisce al nipote di corteggiare Mollie Kyle, giovane Osage, con numerosi diritti petroliferi, che presto si unisce in matrimonio con Burkhart. Hale, nel frattempo, progetta la morte di tanti ricchi appartenenti alla tribù e, dopo la terza gravidanza di Mollie, spietato, convince Ernest ad avvelenare l’insulina della moglie diabetica, facendone peggiorare le condizioni. Presto gli agenti dell’FBI giungono a Fairfax, scoprono la verità e arrestano i protagonisti. Mollie, per l’aggravarsi della salute, viene trasportata in ospedale, dove scopre quello che le ha fatto il marito. Ernest, distrutto dal dolore per la perdita della figlia, decide di denunciare lo zio e stare vicino alla sua famiglia. Viene poi lasciato dalla moglie quando, dopo il processo e la condanna all’ergastolo, non ammette ciò che fatto. In seguito al divorzio, la donna muore a causa del diabete dopo pochi anni, mentre Ernest finisce a vivere con suo fratello in una roulotte e lo zio muore anziano in una casa di riposo.
In questa saga familiare, il triangolo amore-odio-avidità tiene uniti i tre personaggi che conducono tutta la storia: Ernest Burkhart, un marito avido, stupido e inetto; Mollie Burkhart, moglie ingannata, derubata e avvelenata, il capro espiatorio di un disegno senza pietà; William Hale, soprannominato “re”, pieno di sé, la cattiveria fatta persona, senza una qualità che lo assolva, neppure sul finale. Mentre Ernest non solo è cattivo ma stupido e vigliacco, distante dai personaggi scorretti, tipici di Di Caprio, che di solito personificano l’antieroe, Hale è l’opposto del nipote. È perfido ma astuto e intelligente, disposto a tutto pur di saziare l’incontenibile sete di ricchezza. Mollie, invece, il volto femminile che tiene unito il male, è caratterizzata da una bontà sconfinata, è vittima sacrificale di un amore tossico che la inganna e la distrugge senza che se ne renda conto, la vera eroina della storia, la forza dell’intera pellicola, la resistenza degli Osage all’invasione dei bianchi, ma al tempo stesso rappresenta la sconfitta. La donna diventa estranea al proprio mondo, è contaminata, non ha la forza di opporsi al suo destino. Scorsese, tuttavia, le dà la possibilità di liberarsi in extremis con una via d’uscita che risiede nella morte e restituisce dignità a un personaggio a cui non resta più nulla.
Nonostante gli esiti della vicenda, questo è forse uno dei lungometraggi in cui il regista americano parla più di amore ma come arma, inganno, appello tardivo che non può più salvare. Scorsese sviluppa la narrazione in modo lento, lasciando che la storia, fatta di conversazioni, sguardi, primi piani e silenzi, si dipani in maniera distesa, suscitando forti emozioni anche senza impeto.
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