Esclusiva

Marzo 7 2024.
 
Ultimo aggiornamento: Aprile 4 2024
Una lunga scia di sangue

La lista di dissidenti vittime del regime putiniano testimonia un’inquietante realtà della politica di persecuzione russa

Nella città di Milano, decine di persone si sono date appuntamento per lasciare un fiore in memoria di Alexei Navalny davanti alla targa dedicata alla giornalista Anna Politkovskaya vittima del regime russo. È dal 1999, anno di ascesa di Putin, che il Cremlino si è macchiato le mani col sangue di giornalisti e oppositori politici scomodi.

«L’unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede» così descriveva la sua professione Politkovskaja, morta in un agguato a Mosca il 7 Ottobre 2006, giorno del compleanno di Putin, per mano di cinque sicari ceceni di cui il mandante ad oggi rimane sconosciuto.

La reporter diventa una voce scomoda quando con il suo giornalismo d’inchiesta comincia a criticare le decisioni politiche di Putin e la guerra in Cecenia.

Politkovskaja lavora dal 1999 per la “Novaja Gazeta”, nello stesso periodo, comincia a pubblicare diversi libri critici su Vladimir Putin e sulla conduzione del conflitto nel Caucaso. È l’impegno nel descrivere la realtà davanti ai suoi occhi e gli abusi commessi sulla popolazione civile cecena a provocare l’ira del Cremlino.

Nel 2004, rimane vittima di un sospetto caso di avvelenamento mentre verrà due anni dopo uccisa nell’ascensore di casa: il materiale dell’inchiesta sulle torture avvenute in guerra a cui la giornalista stava lavorando scompare.

Più di mille persone parteciparono al funerale celebrato ai piedi di una lapide rappresentante un giornale crivellato da proiettili, in assenza di rappresentanti del governo russo. 

La stessa sorte toccherà ad altri giornalisti, se ne stimano più di 50 dal 1999 ad oggi, tra cui Antonio Russo, giornalista italiano il cui corpo venne ritrovato con segni di tortura in Georgia dove aveva raccolto prove dell’utilizzo di armi non convenzionali contro bambini ceceni, con pesanti accuse di responsabilità del Cremlino. 

Non solo giornalisti, la sorte di chiunque si opponga al regime di Putin è la morte. Aleksander Litvinenko, ex agente segreto russo e dissidente politico, è uno dei casi più eclatanti che testimoniano la politica del terrore esercitata sugli oppositori di Putin. 

Esule nel Regno Unito, dopo aver rifiutato l’ordine di uccidere un presunto nemico dello Stato, viene avvelenato a Londra il 26 febbraio 2006 da emissari del presidente russo. Dopo aver ingerito del polonio, un semimetallo radioattivo, prima di morire Litvinenko denuncia pubblicamente il regime di Putin come mandante del suo omicidio. Sarà poi la Corte europea dei diritti dell’uomo ad imputare alla Russia la responsabilità dell’accaduto. L’immagine di Litvinenko calvo e in fin di vita nel letto di ospedale che impiega le sue ultime forze per accusare Vladimir Putin rimane uno dei simboli all’opposizione del regime totalitario russo. 

Nove anni dopo i funerali di Politikovskaja, gli abitanti di Mosca si radunano nelle strade della capitale. La città si riempie di decine di migliaia di manifestanti in seguito alla morte improvvisa dell’ex vice primo ministro Boris Nemtsov. Dopo il suo assassinio furono condannati cinque uomini ceceni.

Negli anni Novanta, ai tempi di Eltsin, il politico russo si era esposto contro la guerra in Cecenia raccogliendo un milione di firme. Da tempo si batteva contro il governo putiniano, aiutato dal suo consigliere Vladimir Kara-Murza, detenuto dal 27 aprile scorso nelle carceri per alto tradimento in un luogo mai reso noto dal regime.

Nemtsov muore il 27 febbraio, colpito da un proiettile sul ponte di Mosca a pochi passi dal Cremlino. Il giorno successivo avrebbe guidato una marcia di opposizione organizzata per denunciare la condizione economica russa ed esprimere il dissenso nei confronti della guerra in Ucraina.

Nessuno fu in grado di risalire alle dinamiche esatte del suo omicidio. Quel giorno tutte le telecamere nelle vicinanze erano spente, tranne una che però non riuscì ad inquadrare l’accaduto.

Ad oggi, le parole che gli oppositori uccisi dal regime putiniano hanno lasciato in testamento al popolo russo e al resto del mondo sono un appello al non rendere vana la loro lotta. 

La morte di Navalny, ad un mese dalle elezioni presidenziali russe, lascia un vuoto di opposizione apparentemente incolmabile confermando il pensiero di Nemtsov secondo cui in Russia non c’è un’opposizione ma esistono solo dissidenti. 

La morte di Navalny è seguita dall’arresto di almeno quattrocento persone che sono scese nelle principali città come San Pietroburgo per manifestare e lasciare dei fiori. Si tratta di cifre molto basse che dimostrano quanto sia alto il livello di terrore imposto alla popolazione dalle autorità del Cremlino.