Esclusiva

Marzo 8 2024
Il massacro del Circeo, un femminicidio

Due targhe per ricordare Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, vittime di uno dei delitti più traumatici della Storia d’Italia

Tante ragazze bloccano via Nomentana a Roma, alti cartelli colorati con i nomi di grandi donne del passato e del presente, la memoria di Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, diciannove e diciassette anni, che il 29 settembre del 1975, vennero rapite, stuprate e torturate in quello che è passato alla Storia come il massacro del Circeo. Un otto marzo per ricordare e rileggere quell’avvenimento, dargli un nuovo significato e un nuovo nome: femminicidio.

Ora due pietre d’inciampo compaiono all’inizio di viale Pola, dove le giovani vennero ritrovate all’interno del bagagliaio di una Fiat 127 bianca, una morta e l’altra ancora viva. I versi di una poesia di Colasanti, letti con il groppo alla gola dal fratello Roberto, hanno dato il via alla commemorazione: «Sono qui. Sono qui immersa nel guardare questo mondo che non conosco, che ho sempre conosciuto».

«Le notti abbreviano insonni nella ricerca vana», continuava Donatella, che morì nel 2005 per un tumore al seno, dopo aver raccontato per tutta la vita ciò che le era successo. «Battiamoci per la verità» furono le sue ultime parole.

Un atto di violenza atroce in un decennio di per sé violento. Donatella e Rosaria, provenienti dal quartiere popolare della Montagnola, conoscono Angelo Izzo e Gianni Guido tramite un amico comune al bar alla base del Fungo, torre serbatoio dell’EUR. Izzo ha precedenti penali per rapina a mano armata e per violenza sessuale. Le ragazze questo, però, non lo sanno e i due sembrano così per bene. Izzo e Guido vengono da famiglie dell’alta borghesia del quartiere Trieste-Salario, hanno frequentato entrambi il Liceo Giulio Cesare e studiano all’università.

Dopo il primo piacevole appuntamento, i giovani decidono di rivedersi il lunedì successivo, ma «arrivano solo Angelo e Gianni, Carlo (l’amico in comune, ndr), dicono, aveva una festa alla sua villa di Lavinio, se avessimo voluto raggiungerlo… ma a Lavinio non arrivammo mai», racconterà Donatella. Sotto minaccia di una pistola, le ragazze vengono portate a San Felice Circeo, nella villa di famiglia di Andre Ghira, terzo degli omicidi torturatori e complice di Izzo nella rapina per cui avevano scontato venti mesi nel carcere di Rebibbia.

«I fatti del Circeo hanno mostrato che nessuna classe, gruppo o censo è esente dalla violenza di genere», dice Edoardo Albinati, scrittore che ha vissuto la sua adolescenza nel quartiere Trieste-Salario negli anni Settanta e l’ha poi raccontata nel libro La Scuola Cattolica, con cui ha vinto il Premio Strega. «I ragazzi per bene potevano essere criminali e qualsiasi donna poteva, e può tuttora, essere vittima».

Non solo un colpo all’immagine stereotipata della violenza di genere, ma anche un’occasione di rivoluzione della giurisprudenza. Con la sentenza della Corte di cassazione sul caso, del 1996, gli abusi sessuali diventano un reato contro la persona e non contro la morale pubblica. «Si può e si deve fare ancora di più», dice Samuele, studente di giurisprudenza che sulle battaglie legali di Donatella Colasanti sta scrivendo la sua tesi di laurea, «oggi l’unica circostanza attenuante per reati sessuali, quella di minore gravità, è molto vaga dal punto di vista normativo».

«L’idea delle targhe, o meglio, delle pietre d’inciampo» dice la professoressa Daniela Marcuccio, organizzatrice della commemorazione, «serve a rompere l’anonimato in cui vuole ricadere viale Pola, e continuare a sentire il lamento di Donatella da quel bagagliaio». Quello di caratterizzare le strade e gli angoli della città con iniziative come questa è un progetto del comune di Roma che è solo all’inizio e che passa anche dalle panchine rosse su cui è scritto il 1522, numero antiviolenza e stalking. «Il vero contrasto alla violenza di genere, però», continua la professoressa, «passa da una vera rivoluzione culturale che può avvenire solo nelle scuole». Cosa di cui sono consapevoli anche le ragazze che oggi hanno fatto sentire la propria voce: «Izzo, Ghira e Guido si sentivano possessori di ogni privilegio», interviene una studentessa, «avevano buone famiglie alle spalle e una grande cultura, ma erano convinti di poter possedere anche la vita di Donatella e Rosaria». «I femminicidi come quello del Circeo», prosegue una sua collega, «non nascono dalla scarsa istruzione. Nascono dall’assenza di campagne di sensibilizzazione, dalla banalizzazione della violenza come parte integrante della cultura patriarcale, dall’indifferenza e dalla mancanza di educazione sentimentale nelle scuole».