Esclusiva

Marzo 11 2024.
 
Ultimo aggiornamento: Marzo 12 2024
Anatomia di una caduta, storia di una coppia dietro un delitto

L’ultimo film della regista francese Justine Triet, Anatomia di una caduta, si è aggiudicato l’Oscar come migliore sceneggiatura originale

Un cane, un bambino e il corpo senza vita di suo padre sulla neve sono gli elementi chiave di “Anatomia di una caduta”, vincitore nel 2024 dell’Oscar per la migliore sceneggiatura originale e della Palma d’oro al 76esimo festival di Cannes dello scorso anno. Stabilire perché il cadavere si trovi lì disteso sembra essere l’obiettivo della pellicola, ma la regista francese Justin Triet finge di realizzare il classico thriller in cui si ci sono un delitto e un sospettato e utilizza, invece, questa morte sospetta per analizzare il rapporto di coppia di quell’uomo e la sua compagna, in bilico tra le ambizioni frustrate di lui e l’individualismo estremo di lei.

La storia si sviluppa tra realtà e finzione. Il primo personaggio sulla scena è Sandra, interpretata dall’omonima Hüller, scrittrice di successo, intervistata da una giovane studentessa. Il marito, anche lui scrittore, ma con meno fortuna, è Samuel, nella realtà Samuel Theis, e non lo vediamo mai vivo. Nei primi attimi lo sentiamo solo lavorare in soffitta, mentre ascolta la canzone Pimp, di 50Cents. Questa viene riprodotta da uno stereo senza alcuna soluzione di continuità e a volume elevato, disturbando la conversazione della moglie tanto da costringerla ad interromperla. La scelta da parte della regista del brano dal testo misogino e a tale livello sonoro non sono casuali, servono a porre i primi dubbi sui problemi tra i coniugi e il potenziale movente di Sandra. Poi la cinepresa dimentica la coppia e si concentra sull’unico figlio, Daniel, un bambino di undici anni, reso ipovedente da un incidente d’auto. Lo osserviamo uscire di casa, con bastone e cane al seguito, e vagare per le valli innevate attorno all’abitazione in montagna in cui la famiglia vive da qualche anno, isolata dal resto del mondo. Al suo ritorno comincerà davvero il film.

Come in “Anatomia di un omicidio”, pellicola di Otto Preminger, a cui Triet fa esplicito rimando nel titolo, la maggior parte della storia è composta da un processo. Sandra è sospettata di omicidio, mentre il suo avvocato difensore cerca di convincere la giuria che Samuel abbia deciso di uccidersi. Ad essere sotto indagine, però, più che la caduta dell’uomo, è quella di una coppia dei tempi moderni. La loro difficoltà nel comunicare, nata dopo l’incidente del figlio, diventa sopraffazione di uno sull’altro, solo che a differenza della narrazione tradizionale questa volta è la donna a dominare. Motivo per cui si può ritrovare in questo film una sintesi tra un certo tipo di cinema hollywoodiano, che sembra focalizzarsi sull’individualismo all’interno delle famiglie (un esempio per tutti è “Storia di un matrimonio” di Noah Baumbach) e quello nordeuropeo del Novecento di Ingmar Bergman, soprattutto “Scene da un matrimonio” del 1973. Non è la prima volta che la regista porta sullo schermo i problemi coniugali, lo aveva già fatto dieci anni fa nel suo primo lungometraggio “La Bataille de Solférino”, in cui in scena c’era la sua vera famiglia.

Esistono molti modi per raccontare una vicenda e se la direttrice francese ha deciso di farlo attraverso un’aula di tribunale è perché lì il confine tra realtà e finzione è ancora più labile. Quella che emerge alla fine del procedimento è solo la verità processuale e non sempre coincide con i fatti. Triet vuole mettere in risalto la relatività del reale, tema anche questo indagato nel film di Preminger. Durante le udienze la figura del marito ritorna, questa volta lo vediamo in carne ed ossa sullo schermo, ma è sempre un’immagine creata a partire dalle testimonianze rese durante il dibattimento o dalle registrazioni trovate sul suo telefono e presentate come prove dal pubblico ministero. Nessuno sa quali gesti, sguardi o esatte parole Samuel ha davvero fatto e pronunciato durante questi episodi e ciò aggiunge ambiguità alla storia. Così come a questo scopo è funzionale anche la barriera linguistica di Sandra. Lei è tedesca ma vive in Francia, dove si svolge anche il processo, senza aver però mai imparato la lingua del luogo. Ecco perché si esprime per la maggior parte del tempo in inglese.

La perdita di sfumature importanti nelle sue parole è un limite evidente durante le deposizioni e la mette in difficoltà, così come fa anche il pubblico ministero, rappresentato dalla regista quasi come la caricatura di un aguzzino. Sono due elementi che spingono lo spettatore a parteggiare per Sandra, a voler credere che sia solo vittima di un errore. Non mancano, però, i momenti in cui sembra plausibile che sia stata proprio lei ad uccidere il marito. Ecco che l’unica cosa che lo spettatore può fare è scegliere a cosa credere. Lo stesso farà il figlio Daniel nel momento di maggiore incertezza del film. Alla fine, Triet riesce in maniera esemplare a tenere tutti col fiato sospeso, temendo che il risultato possa essere solo uno. Eppure, quando la realtà non si conosce il risultato è sempre inaspettato.

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