Esclusiva

Marzo 16 2024
La “Casina delle Civette” incanta i turisti a Roma

Il museo, al centro di Villa Torlonia, trasporta i visitatori della capitale in un mondo fatato, tra vetrate, luci, forme geometriche e colori

Sembra di varcare la porta della casa di Flora, Fauna e Serena, le tre fate della principessa Aurora ne La bella addormentata nel bosco, o di casa Baggins, abitata da Frodo, protagonista del Signore degli Anelli. La Casina delle Civette, collocata all’interno di Villa Torlonia a Roma, è un luogo intriso di fascino e mistero, con luci, forme geometriche e colori che si intrecciano per creare un’atmosfera caratteristica e suggestiva.

Il nome è legato alle tante decorazioni di civette, ricorrenti nelle vetrate, nel mobilio e nelle maioliche, un tipo di ceramica. Il soggetto degli ornamenti è stato voluto dal principe Giovanni Torlonia nel 1908, anno in cui decise di trasformare l’edificio originario costruito nel 1840 su commissione di suo nonno, Alessandro. Il villino, ideato dall’architetto Giuseppe Jappelli, si presentava inizialmente rustico con interni dipinti a tempera ed esterni a bugne di tufo, ed era conosciuto come la Capanna Svizzera perché assomigliava ad un rifugio alpino.

I primi cambiamenti furono apportati a inizio Novecento, con l’introduzione di loggette, colonnine, porticati, torrette, tetti con maioliche colorate e finestre in stile liberty. Questa ristrutturazione stravolse la vecchia architettura tanto da cambiarne il nome. Dal 1916, il museo cominciò ad essere chiamato Casina delle Civette, in particolare per la presenza di una vetrata eseguita da Duilio Cambellotti, all’epoca uno dei maestri in quest’arte. La finestra è composta da tre pannelli, due raffiguranti civette stilizzate – realizzate con vetri colorati dipinti a fuoco per rendere al meglio l’effetto del piumaggio – ed uno, al centro, con tralci d’edera e nastri. Oggi l’opera, posta all’interno di una sala denominata Stanza delle civette, è l’unico elemento rimasto intatto di questo ambiente che, in origine, era rivestito da elaborate boiseries, pannelli di legno intarsiati, stile impero e vantava un drappeggio lungo che scendeva dal soffitto.

La sala più decorata della struttura è il Salottino delle ventiquattro ore, sopra cui si erge una cupola ottagonale dipinta a tempera nel 1909 da Giovanni Capranesi, pittore italiano. È suddivisa in otto riquadri delimitati da stucchi, all’interno dei quali leggiadre fanciulle si esibiscono, tra tralci di rose, nella Danza delle ventiquattro ore. Queste ultime sono raffigurate ricoperte da veli e, a gruppi di tre, volteggiano su un fondo celeste su cui sono dipinte comete che, unite ai boccioli di rosa, sono il simbolo araldico della famiglia Torlonia. Completano il soffitto un rosone centrale che riprende il motivo floreale e otto rilievi, alla base di ogni nervatura, che raffigurano la fenice che risorge dalle ceneri. Il pavimento è decorato da un mosaico ottocentesco raffigurante Marte e Venere.

La Stanza da letto del principe non conserva quasi nulla dell’arredo originario che la rendeva uno dei luoghi più legati alla personalità di Giovanni Torlonia. Era, infatti, piena di elementi legati alla simbologia della civetta e in generale degli uccelli notturni, a cominciare dal grande rosone al centro del soffitto, illustrante il volo dei pipistrelli. Al centro della camera è rimasto un pannello con quattro vetrate geometriche con raffigurazioni di frutti, realizzate su disegno di Umberto Bottazzi.

L’ossessione del principe per questo animale notturno, conosciuto per la sua personalità tenebrosa e misantropa, è dovuta al significato esoterico del rapace: simbolo di sapienza e saggezza per gli antichi greci e romani – motivo per cui la dea Atena è spesso rappresentata con una civetta sulla spalla – ma anche espressione di chiaroveggenza, sfortuna e morte.

Lo stretto passaggio attiguo alla zona notte si chiama il Balcone delle rose ed è scandito dalla sequenza di composizioni artistiche in vetro ideate da Paolo Paschetto, pittore e decoratore, ed eseguite da Cesare Picchiarini, vetraio. Il soggetto solare e vivace doveva creare un netto contrasto con l’atmosfera cupa della camera da letto. Le finestre ripetono, in diverse variazioni compositive, il tema delle rose gialle, rosse e arancioni, che contrastano con i colori freddi delle farfalle verdi, blu e viola.

L’edificio ospita anche due vetrate, oggi posizionate all’interno del Fumoir, realizzate nel 1927 da Enrico Prampolini, pittore e scultore futurista, che fanno parte di un ciclo dedicato alle arti: Architettura, Pittura, Scultura e Musica. «È rimasto com’era il piccolo studio di Prampolini: in una stanza d’angolo con due finestre e due balconcini, al primo piano di Via Garigliano e Via Rubicone. Una vetrata “futurista” divide lo studio dall’attigua area di soggiorno, che fungeva anche da camera da letto», riporta il fratello di Prampolini, Alessandro, negli Appunti sui lavori di arte figurativa e su ambientazioni dell’artista. Architettura e Musica sono state acquistate dal comune di Roma ed esposte nella Casina.

Il museo fu distrutto durante l’occupazione delle truppe anglo-americane nella Seconda guerra mondiale e, dopo un periodo di degrado e abbandono, nel 1978 fu acquisito dal comune. Dopo esser stato ulteriormente danneggiato da un incendio nel 1991, il Campidoglio decise di avviare un lungo e complesso progetto di restauro che durò dal 1992 al 1997.