«Abbiamo ottenuto un incontro con il procuratore capo di Roma per chiedere la non archiviazione del caso e ottenere giustizia» così Walter Verini, capogruppo del Partito Democratico in commissione Antimafia, apre alla Camera la conferenza stampa di presentazione delle iniziative per il trentesimo anniversario dell’assassinio di Ilaria Alpi, la giornalista del tg3 uccisa insieme al suo operatore Miran Hrovatin a Mogadiscio il 20 marzo del 1994, vicino all’ambasciata italiana, in circostanze mai chiarite.
Ilaria è stata inviata in Somalia per documentare Retore Hope, la missione di pace promossa dalle Nazioni Unite a seguito della guerra civile scoppiata nel 1991. Durante le sue trasferte in Africa, fino a sette in un anno, ha scoperto un traffico internazionale di rifiuti tossici prodotti nei paesi industrializzati e dislocati in quelli africani in cambio di tangenti e di armi, scambiate con i gruppi politici locali. Insieme al collega stava rientrando da Bosaso, una città al nord della Somalia, dove aveva intervistato il sultano Abdullah Moussa Bogor.
Nell’intervista, su domanda esplicita della Alpi, Bogor aveva parlato di Shifco, una società di pesca italo-somala a cui lo stato italiano in quegli anni aveva donato dei pescherecci, probabilmente usati anche per il trasporto dei rifiuti. Di quelle due ore di intervista, arrivarono nella redazione del tg3 poco meno di 15 minuti.
Le indagini degli anni successivi non hanno mai individuato il colpevole dell’assassinio, nonostante nel 2016 i governi guidati da Letta, Renzi e Gentiloni, abbiano desecretato molti documenti sul caso.
A sottolineare l’importanza della riapertura di un dibattito è Mariangela Grainer, portavoce dell’associazione “Noi non archiviamo”, da sempre vicina alla famiglia, presente in sala stampa insieme ai vertici di Fnsi, Usigrai, Rai Sostenibilità e al presidente dell’ordine dei giornalisti del Lazio Guido D’Ubaldo. Da membro della prima commissione d’inchiesta, Grainer ha dichiarato: «Nel 1996, due anni dopo l’assassinio, quando è stato chiesto l’incontro con Michele Coiro, il capo della procura di allora, c’è stata una svolta. In questi anni abbiamo collezionato quasi tutti i pezzi di un puzzle, che però ci hanno impedito di completare. Noi ora siamo in grado di fornire questi pezzi mancanti» ha affermato durante l’incontro.
Per la portavoce ed ex deputata del partito democratico della sinistra è stato messo in atto «un grande depistaggio costruito con dovizia di particolari». Il ricordo va anche a Hashi Omar Hassan, il “capro espiatorio” condannato per l’omicidio e poi assolto dopo sedici anni di detenzione. Una volta uscito di prigione, Hassan è stato ucciso da una bomba piazzata sotto il sedile della sua auto, appena rientrato in Somalia nel 2022.
Una vicenda percorsa da una serie di morti: «Hanno tentato di cancellare tutti i possibili testimoni. L’autista di Ilaria, il capo della polizia somala, potrei citare dieci persone» afferma Graimer, ricordando la sparizione di documenti e di taccuini subito dopo l’agguato mortale. «Hanno sostenuto che è stata una causalità, un tentativo di rapina o sequestro finito male, una ritorsione nei confronti degli italiani, che non è vero che è stata uccisa per quello che faceva, ma ora abbiamo tutto per dire che non è così. Nella scrivania del suo ufficio a Saxa Rubra c’erano dossier legati a molti paesi, non solo dell’Africa, uno di questi riguardava la Somalia. Nei documenti si parlava di traffici illeciti di ogni tipo in cambio di armi».
Una verità giudiziaria che non si è «mai voluta trovare», secondo Luciana Alpi, la mamma di Ilaria, che in una delle sue ultime interviste in Rai nel 2018 denunciava: «È mancata la volontà di dare giustizia a Ilaria e Miran, che sono morti mentre lavoravano per un’azienda di stato».
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