«Un esercito di invisibili vive tra noi. Reggimenti interi di persone affette dal disturbo autistico vivono nella casa accanto, al piano di sopra, sui banchi di scuola con i nostri figli», scrive il neuropsichiatra italo-americano Mark Palermo: è da questa riflessione che Pierluigi Frassineti trae ispirazione per il titolo del film documentario Invisibili.
Nella Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo che ricorre il 2 aprile, ad essere al centro dell’attenzione è questo disturbo, eterogeneo, che si manifesta in modi diversi tra individui e fasi della vita. L’obiettivo è sensibilizzare sulle discriminazioni, le difficoltà e l’isolamento delle persone coinvolte.
Pierluigi Frassineti, padre di un ragazzo autistico, ha scelto di portare alla luce con un documentario le sfide della malattia, focalizzandosi sulle storie delle famiglie e sull’impegno nel sostenere i loro cari: «La fonte principale di ispirazione è stata la vita familiare, vissuta prima con un bambino, poi con un adolescente e infine (oggi) con un uomo autistico di 30 anni con comorbidità e con elevata intensità di assistenza, Julian». Nella narrazione mediatica e nella percezione collettiva, l’autismo spesso viene rappresentato in modo distorto, riducendo chi ne è affetto a stereotipi di genialità o infantilizzandolo. Si ignora il percorso di crescita e gli ostacoli quotidiani: «In tutte le fasi della sua vita abbiamo dovuto constatare che gli autistici non erano più considerati nella loro interezza, nella loro dignità e nelle loro aspettative, ma erano pazienti, utenti, “soggetti” e mai persone», racconta Frassineti.
«Si pensa a loro come “bambini”, negando il fatto che possano crescere, avere una vita sessuale, compiere attività “normali” e adulte. Tutto questo è diventato ormai uno stereotipo talmente radicato da far passare sotto silenzio un dato inquietante: dopo i 18 anni, le persone autistiche scompaiono dai radar». Frassineti sottolinea la necessità di raccontare questa malattia nella Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo, con l’obiettivo di «dimostrare che si può passare dalla disperazione alla speranza, attraverso la formazione, l’informazione, la presa di coscienza del proprio compito di nucleo familiare che non deve soccombere all’angoscia e alle privazioni di un welfare altamente imperfetto e immaturo».
In un sistema sanitario i cui i dati dell’Osservatorio per il monitoraggio dei disturbi dello spettro autistico, coordinato dal ministero con l’Istituto Superiore di Sanità, indicano un aumento generale dei casi, l’Italia ha ancora molta strada da fare.
Secondo la ricerca del Censis (Centro Studi Investimenti Sociali), l’Italia si posiziona tra i paesi in Europa che dedicano meno risorse alla protezione sociale delle persone con disabilità e si distingue per una carenza di preparazione nel coinvolgere sia le istituzioni scolastiche che il terzo settore che, spesso, non sono in grado di affrontare adeguatamente le specifiche necessità delle persone autistiche.
«Non è il paziente che deve andare verso il mondo dei normodotati, ma è esattamente al contrario». La psicologa Cati Furnari, della fondazione Ortus di Giarre, racconta i disagi a cui vanno incontro le persone affette da autismo. Secondo la specialista, uno dei problemi principali riguarda l’accettazione: «Non è banale, ma soprattutto non è facile». Anche Frassineti affronta questo tema nel documentario: «Vostro figlio è autistico. Immaginate di sentire questa frase».
Accompagnare i genitori dalla fase della diagnosi è il primo passo per poter far fronte a ciò che ne consegue. «Un padre o una madre deve essere in grado di comprendere di che cosa ha paura il proprio figlio, da cosa deriva quel timore e anche come superarlo. Bisognerebbe fare formazione», continua la psicologa. Questo tipo di educazione non è necessario solo in famiglia ma anche e soprattutto nelle scuole. Gli insegnanti di sostegno hanno bisogno di una specializzazione particolare, «non devono essere assegnati così casualmente ai bambini». Solo con una preparazione adeguata, queste figure possono essere d’aiuto non solo alle persone affette da autismo ma anche alle loro famiglie.
I requisiti fondamentali sono «consapevolezza e sensibilità». Le persone autistiche sono spesso spaventate da ciò che non conoscono e, allo stesso modo, sapere e percepire quali sono le esigenze dei pazienti e di chi li circonda è il primo passo per un adeguato inserimento sociale.
«Oggi si continua a chiamarli “ragazzi speciali”, che è un altro modo di classificarli ed escluderli. Si attuano promozioni del blu come se vi fosse un unico colore nella vita degli autistici», conclude così il padre di Julian, per il quale invece l’amore verso il figlio è dipinto di tutte le sfumature della vita.
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