Esclusiva

Aprile 2 2024
L’India di Modi, tra sviluppo economico e demografico

In vista delle imminenti elezioni, il subcontinente indiano sembra aver abbandonato il rispetto per le minoranze e la libertà di culto

Un uomo di ottant’anni con occhiali, capelli bianchi e barba incolta, in kurta di seta dorata. Si sdraia per pregare con le mani giunte. Poi si mette in piedi. Cammina con aria solenne. Si avvicina ad una statua agghindata. Migliaia di devoti commossi lo accerchiano, cercano di stringergli la mano. Canti, balli e bandiere. Fiori sgargianti in abbondanza, di ogni specie e colore, contornano colonne di marmo bianco. Un elicottero lancia petali rosa. Riti sacri del genere non sono un’eccezione nell’India del primo ministro Narendra Modi, ma dimostrazioni di soft power volte a suggestionare il popolo. Il tempio inaugurato ad Ayodhya, città santa dell’Uttar Pradesh – stato a nord del paese – è lo spaccato di una nazione che sembra aver abbandonato il secolarismo, inteso come difesa della multireligiosità. Eretto sulle rovine di una moschea abbattuta nel 1992 da fanatici indù, l’edificio è dedicato al dio Rama, “piacere”, “gioia” in sanscrito.

«La frangia nazionalista al governo vede le minoranze con occhio xenofobo, include i gruppi etnici che hanno riferimenti culturali nel subcontinente indiano. La destra ha cavalcato una visione radicale di un paese non laico», sostiene Stefano Beggiora, professore di filosofie, religioni e storia dell’India e dell’Asia Centrale all’Università Cà Foscari di Venezia.

Il paese di Modi ospita la terza più grande comunità musulmana al mondo, trattata però spesso con disprezzo. Dall’indipendenza del 1947 ha affrontato discriminazioni, pregiudizi e violenza, malgrado il testo costituzionale sancisca la libertà di culto. «I sikh sono considerati indù perché costola della loro storia, i musulmani sono lì da molti secoli ma sono visti come stranieri, allo stesso modo dei cristiani».

Gli Stati Uniti hanno espresso preoccupazioni sull’implementazione del Citizenship Amendment Act, che renderebbe più facile ottenere la cittadinanza per rifugiati non musulmani provenienti da tre paesi a maggioranza islamica: Afghanistan, Pakistan e Bangladesh. Il trattamento riservato alle minoranze ha spinto varie organizzazioni internazionali a credere che l’India non sia più una democrazia liberale. Stando ad un report del Varieties of Democracy Institute, basato in Svezia, la nazione è scesa nel ranking al 104º posto su 179 paesi analizzati. Le televisioni di tutto il mondo hanno parlato di “democrazia più popolosa”, ma per molti questa definizione è in parte scorretta.

Secondo stime ufficiali delle Nazioni Unite la popolazione indiana ha superato quella cinese con 1,4 miliardi di persone, anche se è difficile stimare il dato demografico dei più poveri, delle popolazioni indigene, che sono il 10% della popolazione e vivono in giungle o foreste. Già intorno al 2000 l’India è uno dei paesi più popolosi, ma con un territorio più piccolo della Cina.

Il paese ha ereditato dall’Inghilterra il “Census of India”, incardinato al ministero degli Interni e impegnato a fare il censimento ogni dieci anni contando le persone da un distretto all’altro. L’ultimo con dati sicuri risale al 2011, perché quello del 2020 è viziato dalla pandemia da Covid-19. «Ogni stima va però presa con le pinze perché c’è un problema di anagrafe, anche se l’India ha apparati informatici come i nostri e software avanzati», continua Beggiora. Mentre prima il boom delle nascite era un problema oggi è una forza. Modi conta sulle nuove generazioni come le “braccia della nazione“.

Negli anni Settanta si parla molto di crisi demografica perché una crescita esponenziale spinge Indira Gandhi a introdurre un sistema di controllo delle nascite. Per Beggiora «rispetto alla preoccupazione della sovrappopolazione del paese, Modi incoraggia le famiglie numerose come risorsa della nazione anche sotto una prospettiva macroeconomica».

Dal punto di vista indù, la nascita è sacra, una benedizione per le famiglie. Ci si augura che il matrimonio porti figli tanto che in passato la gente percepiva il non averne come una disgrazia. Secondo una prospettiva tradizionale ogni problema di fertilità si lega alla madre. «Non è una concezione sessista perché il figlio è espressione del respiro della donna, anche quando nasce è parte del suo grembo. Il padre è visto come distante», afferma il professore.

Per la struttura produttiva, avere un paese giovane è una risorsa rispetto all’avversario cinese: l’età mediana dell’India è 27 anni, mentre quella del “Dragone” si attesta a 37 anni. L’apertura del mercato interno, da parte della destra indù, agli investimenti esteri ha portato ad una fioritura economica dopo la forte crisi all’inizio degli anni Novanta.

La propaganda elettorale del Bharatija Janata Party, il partito di Modi, in vista delle elezioni che si terranno a cavallo tra aprile e maggio, si è basata sull’idea di promuovere una shining, brilliant India. È stata avanzata la prospettiva di un’economia dinamica che aspira a scalare la classifica mondiale tallonando Cina e Stati Uniti d’America. Secondo Beggiora, «Modi si attribuisce come merito del suo governo lo sviluppo».

L’agenzia di rating Moody’s ha aumentato la stima di crescita per il 2024 da +6.1% a +6.8%, prevedendo per il paese la performance più brillante all’interno del G20. In un quadro annuale di rallentamento, secondo la Banca mondiale, a trainare l’economia saranno il Sud est asiatico e l’Asia meridionale, in particolare Cina e India.

Per sostenere la crescita demografica, la nazione ha bisogno di una struttura economica capace di assorbire la domanda di lavoro e creare più di un milione di nuovi posti al mese. Il Pil è tra i più alti dell’Asia, ma benessere e ricchezza non arrivano alle fasce più fragili della società, si concentrano nelle mani di pochi. Richiamando l’attenzione sull’impegno ambientale, per Beggiora «la crescita, che deve essere sostenuta da investimenti continui, impatta con la deforestazione di aree naturali come foreste e lo sfruttamento di animali, risorse che andrebbero protette e valorizzate. Il dibattito sullo sviluppo sostenibile è un tema su cui Modi e il National Congress dovrebbero confrontarsi».