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Esclusiva

Marzo 5 2023.
 
Ultimo aggiornamento: Marzo 16 2023
«L’India non è più la “più grande democrazia del mondo”», parla Rana Ayyub

La giornalista indiana racconta a Zeta l’impegno civile che porta avanti contro le mosse autoritarie del governo di Narendra Modi

«Prima eravamo la più grande democrazia del mondo e ora siamo finiti così», dice con rabbia Rana Ayyub, giornalista investigativa indiana ed editorialista del Washington Post. «Secondo il World Press Freedom Index l’india è alla 142 esima posizione su 178 per indipendenza del lavoro giornalistico. Il think tank americano Freedom House ha declassato il mio paese a “Stato parzialmente democratico”. Tutto questo sta avvenendo per colpa di Narendra Modi, che solo pochi giorni fa ha ricevuto con tutti gli onori la vostra premier». 

Il 2 marzo Giorgia Meloni ha visitato Nuova Delhi, nell’ambito del suo primo viaggio ufficiale in Asia. Sono lontani i tempi della crisi dei Marò e l’intento della premier è chiaro: rafforzare i rapporti, soprattutto sul piano della difesa, con uno dei principali rivali geopolitici di Pechino. In un discorso Meloni ha dichiarato che le nostre nazioni sono «unite nella difesa della libertà».

L’occidente ha sempre descritto l’India, che da poco ha conquistato il primato di paese più popoloso, come la “più grande democrazia del mondo”. Membri dei media, della politica e della società civile indiana, però, denunciano giorno dopo giorno una crescita di pratiche autoritarie nel Paese. In particolare i problemi riguardano la sistematica discriminazione della minoranza di religione musulmana e l’impossibilità per le voci critiche del governo di trovare spazio sulla stampa e di essere accettate nel dibattito pubblico. Il primo ministro indiano e leader del Bharatiya Janata Party, Narendra Modi, guida infatti un governo nazionalista, induista e molto di destra. «Secondo Modi l’India è solo di chi ha fede hindu. Tutti gli altri o accettano di diventare dei cittadini di serie B, oppure devono andarsene», spiega Ayyub che è musulmana e proprio a causa della sua religione e del suo lavoro di giornalista è considerata una dei nemici numero uno del governo di Delhi. 

Il blocco del documentario BBC

Ayyub ha raggiunto la fama quando nel 2016 ha pubblicato la sua inchiesta “The Gujarat Files”, in cui evidenzia il ruolo che il presidente aveva avuto durante le rivolte nella regione nel 2002 in cui morirono migliaia di musulmani, uccisi da estremisti hindu. Modi era allora il governatore dello stato del Gujarat. Alcune inchieste indipendenti hanno provato le responsabilità dell’attuale presidente nel non aver fermato, e anzi incoraggiato, gli hindu. A gennaio 2023 si è aperta una grave crisi diplomatica fra India e Gran Bretagna in seguito al blocco da parte del governo di Delhi di un documentario BBC che racconta la storia politica e personale di Modi prima di salire al potere, una cui parte era dedicata proprio ai disordini del Gujarat. 

Per vietare la diffusione del documentario l’esecutivo ha fatto ricorso a una legge introdotta nel 2021 proprio da Modi, che dà al governo il potere di bloccare la circolazione di alcune informazioni all’interno del paese in casi ritenuti di emergenza. «Il fatto che il documentario della BBC sia stato censurato usando poteri di emergenza ci fa capire a che punto siamo come Paese. Il governo, nel frattempo, ha anche apportato degli emendamenti all’information technology actche dà poteri all’ufficio per l’informazione di poter decidere cosa è vero e cosa invece è falso. Questo permetterà al governo di etichettare qualsiasi cosa sia contro di lui come fake news. La censura non riguarda solo i media, ma anche i social network, e i link che rimandano al documentario sono stati rimossi anche da Twitter e Youtube». 

«Nel 2014, quando Modi è salito al potere, ho scritto un pezzo intitolato “la morte del giornalismo in India”. Mi ricordo che tutti dicevano che stavo esagerando. Nell’articolo avevo predetto il silenziamento dei media mainstream in India ed è esattamente quello che sta succedendo in questi giorni», continua la giornalista. 

«Essere musulmano in India, oggi, è uno dei crimini più grandi che qualcuno possa commettere.  Solo qualche settimana fa 10mila persone hanno preso parte a una manifestazione, organizzata nella capitale finanziaria dell’India, in cui leader Hindu esortavano le persone ad armarsi e scagliarsi contro i musulmani. Un ragazzo di 22 anni è stato linciato con l’accusa di consumare manzo. Un camionista è stato condannato a morte per aver trasportato mucche sul suo mezzo. 20 milioni di persone vivono come se non fossero cittadini del proprio stato, che è guidato da leader che esortano al genocidio». 

«Abbiamo iniziato a normalizzare i linciaggi e le violenze contro i musulmani, avvenimenti che dovrebbero stare in prima pagina oggi occupano i colonnini di spalla dei giornali. Gli incitamenti al genocidio contro chi non è di fede hindu non sono più considerati un crimine. Ogni giorno questo paese deumanizza le minoranze, non solo i musulmani, ma anche i cristiani, per esempio». 

Quale futuro per l’India

A breve ci saranno le elezioni politiche ma, per Ayyub, la riconferma del presidente in carica è quasi sicura. «La strategia elettorale di Modi è quella di far sentire le persone come delle vittime. È la stessa cosa che Trump faceva in America, quando insisteva sulla supremazia dei bianchi. Il Tycoon descriveva i bianchi americani come vittime di attacchi da parte delle persone di colore e dei migranti. In India una popolazione minoritaria, quella musulmana, viene rappresentata come un nemico dello stato, che deve difendersi. Le persone, per colpa di questo tipo di narrativa, temono che i musulmani gli ruberanno il lavoro o cose del genere. La cosa terribile è che la gente crede davvero a queste cose. Le persone preferiscono un nazionalista hindu al potere, piuttosto che un governo laico e democratico, ed è spaventoso», conclude Ayyub. Nonostante questo, la giornalista continua a lottare per un’India libera. Il titolo di uno dei suoi ultimi pezzi sul Washington Post è proprio “Il mondo continua ad ignorare la radicalizzazione dell’India”. «Non darò a Modi la soddisfazione di cacciarmi, anche se ora vivo tra l’India e gli Stati Uniti. Se dovesse succedermi qualcosa, i miei articoli resteranno e mostreranno al mondo chi sta distruggendo la libertà nel mio Paese», conclude Ayyub.