Esclusiva

Aprile 4 2024
“Io capitano” e l’epica omerica del viaggio

In attesa dell’assegnazione del Globo d’oro, il regista di “Io capitano” Matteo Garrone incontra la stampa estera a Palazzo Grazioli

«Le storie di chi attraversa il deserto e il mare per giungere in Italia fanno dei protagonisti gli unici veri portatori dell’epica contemporanea», riflette il regista di “Io capitano” Matteo Garrone ospite della Stampa estera a Palazzo Grazioli a Roma. Tra Campo Marzio e via del Corso, l’edificio seicentesco ha, nei secoli, ospitato importanti uomini di fede e di comando, l’ultimo inquilino, dal 1995 al 2020, è stato il quattro volte presidente del consiglio Silvio Berlusconi.

Ora è la sede ufficiale della Stampa estera in Italia che, una volta insediatasi, ha scoperto l’esistenza di una porta nascosta probabilmente usata dal Cavaliere per entrare e uscire indisturbato. Superando il lungo corridoio dove Berlusconi e il presidente russo Vladimir Putin sono stati immortalati mentre lanciavano una pallina al cane Dudù, si entra nella sala dell’incontro. I corrispondenti dei giornali stranieri accreditati in Italia hanno organizzato una serie di incontri con autori e registi in corsa per il Globo d’oro che, con il David di Donatello, il Nastro d’argento, il Ciak d’oro è considerato tra i più importanti premi cinematografici italiani.

Garrone è accolto da grandi applausi e abbracci, il clima di tranquillità fa allontanare le ombre per la mancata vittoria agli Oscar dove “Io capitano” concorreva nella categoria miglior film straniero, ma è stato battuto da La zona d’interesse di Jonathan Glazer. La pellicola di Garrone parla della storia di due senegalesi di sedici anni che sognano l’Italia e per raggiungerla devono superare diversi ostacoli come il deserto del Niger, le carceri libiche e il mar Mediterraneo.

«Siamo abituati da anni a vedere solo l’ultima parte del viaggio-esordisce Matteo Garrone- e a sentir parlare di numeri non di persone: l’idea è nata dal tentativo di ridare umanità alle persone per offrire un cambio di prospettiva allo spettatore».

«È un romanzo di formazione» dice il regista, il protagonista Seydou attraversa le classiche fasi del viaggio dell’eroe. Nel deserto muore una donna tra le sue braccia, vive sulla pelle le torture nel lager libico e si ritrova a guidare il barcone verso la Sicilia dovendo gestire duecentocinquanta passeggeri che si agitano per le terribili condizioni a cui sono sottoposti: «Inizia il viaggio come un ragazzo e arriva in Italia da uomo perché vive traumi e ferite che lo fanno crescere».

Il film nasce «dall’ascolto e dal desiderio di dare una voce a chi non ne ha», dice Garrone che ha creato personaggi quanto più fedeli possibile agli interpreti: «Seydou ama cantare e ho inserito la vocazione per la musica nel personaggio per aiutarlo, poi ho cercato di girare il film in sequenza in modo che gli attori non potevano sapere se sarebbero arrivati o no in Italia. A rendere più realistico il racconto è stato il fatto che non erano mai usciti dal Senegal».

La storia narrata non è solo quella di Seydou e del cugino Moussa, ma è quella di centinaia di migliaia di persone. I racconti da cui è nato del film sono diversi nella forma, ma uguali nella sostanza. L’odissea contemporanea di cui il regista parla riguarda un intero popolo. L’epica africana, sull’esempio di quella omerica, si fonda sull’idea di collettività, di partecipazione. Seydou non può affrontare il viaggio da solo: ha bisogno del cugino che lo sprona a sganciarsi dal tetto materno, un prigioniero lo aiuta a uscire dal carcere e una comunità di senegalesi gli offre ospitalità in Libia.

Allo stesso modo lavora una troupe cinematografica: ognuno è parte di un meccanismo che concretizza l’idea del regista e che viene portata sul grande schermo affinché possa farsi portatrice di un messaggio. Matteo Garrone mostra il suo slacciandosi la zip della felpa e indicando, con un grande sorriso, la scritta bianca sulla maglietta viola: See movies in movie theatres.