Sale piene di ragazzi che vedono Scarface di Brian de Palma per la prima volta al cinema che quando uscì, come ha titolato in questi giorni Variety, “wasn’t a hit”. Se nel 1983 è stato un flop, non si può dire lo stesso nel 2024. Dati del botteghino alla mano, è il secondo film in Italia per incasso nella settimana del suo ritorno al cinema.
Scarface esce all’inizio del decennio Reaganiano, quando gli Stati Uniti erano spaccati in due: da una parte il culto dell’edonismo, le donne con capelli cotonati e giacche fluo con le spalline bombate e gli uomini incravattati che assaltavano Wall Street. Nei bassifondi invece le guerre tra gang, ci sono aree della città pericolosissime, basta svoltare in una strada sbagliata per finire in un conflitto a fuoco aperto.
Una leva di nuovi registi decide di fuggire dai colori pastellati di Reagan per portare su pellicola gli slums di New York e di L.A: sono registi italo-americani non cresciuti nei WASP ma nei ghetti delle città. Sono i nomi che daranno vita alla “New Hollywood” la rinascita del cinema americano degli ‘70 e gli ‘80. Francis Ford Coppola con il Padrino, Martin Scorsese che in quegli anni firma Toro Scatenato (1980) e Good Fellas (1990), C’era una volta in America di Sergio Leone (1984).
De Palma coglie quest’onda e dà il suo contributo al filone dei gangster movie portando al cinema la città simbolo degli anni ’80: la Miami delle macchine, della ye-yo (in slang cocaina) e dei villoni vista Atlantico.
Tony Montana, il protagonista, è un immigrato cubano che arriva a Miami durante l’esodo di Mariel nel 1980. Un uomo che ha guardato i film con Humphrey Bogart ed Ingrid Bergman e ha vissuto per anni nell’illusione che gli Stati Uniti fossero davvero la terra promessa, il luogo in cui i sogni si realizzano e in cui un uomo venuto dal niente con pochi soldi e senza istruzione potesse arricchirsi e diventare qualcuno.
Non appena arrivato Tony viene sbattuto con il suo amico Manny in un centro profughi circondato da rete e filo spinato. Proprio lì riceve l’offerta che gli può cambiare la vita: se ammazza un castrista ha la green card.
Cos’è meglio? Rimanere rinchiusi in un campo profughi o diventare Tony Montana? Cos’è meglio lavorare come sguatteri per guadagnare una miseria in un chiringuito o diventare Tony Montana? Il protagonista non ha dubbi e porta con sé in questa ascesa all’Olimpo che presto diventerà una discesa agli inferi anche il suo amico Manny,
Montana diventa in fretta uno dei signori della droga di Miami: conquista il mercato della cocaina di Miami, supera il suo capo e poi rivale Frank Lopez, lo uccide e gli ruba la donna, Elvira Hankock, una Michelle Pfeiffer ancora sconosciuta. Una volta ottenuti donne, successo e soldi a Tony non rimane quasi nulla. Gli effetti dati dalla droga lo fanno vivere in uno stato di paranoia perpetua. L’ansia che qualcuno possa tradirlo lo porta a non fidarsi di nessuno, nemmeno del suo più caro amico che ammazza.
Considerato alla sua uscita “troppo volgare (la parola “fuck” è ripetuta 226 volte) troppo esplicito e crudo il film è stato portato sul piedistallo prima dai rapper afroamericani emulati a loro volta anche in Italia dove il film di Brian de Palma è diventato un culto.
Nel 1993, dieci anni dopo l’uscita del film il rapper Scarface pubblica un album interamente dedicato al film. Nel ‘94 Nas pubblica l’album “Illmatic” il cui terzo singolo si intitola “The World is Yours” il motto che Tony Montana vede impresso su un dirigibile, pubblicità della Pan Am airlines, simbolo del sogno americano.
In Italia Guè è il rapper che più si è servito del mito di Scarface nelle sue canzoni, imitandone anche il modo di vestire, l’opulenza e lo stile kitsch. Non sorprende dunque che fuori dalla sala la maggioranza degli spettatori sia under 20, ascoltatori del rap con gli occhi che brillano per la dopamina data dalla parabola dell’eroe tragico Tony Montana, alto rappresentante di quel sogno americano a cui tutti, almeno una volta, almeno per cinque minuti, hanno creduto.
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