«Per celebrare il passato dobbiamo prendere un impegno per il futuro, soprattutto se vogliamo riacquistare il ruolo che l’Europa merita nel mondo», dichiara Romano Prodi, ex presidente della Commissione europea, davanti a giornalisti e eurodeputati riuniti nell’emiciclo del Parlamento durante l’ultima sessione plenaria prima del voto di giugno per celebrare l’anniversario del più grande allargamento dell’Ue sia in termini di abitanti che di superficie.
Repubblica Ceca, Cipro, Estonia, Ungheria, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia e Slovenia festeggiano oggi i venti anni di adesione. Di questi Paesi, sette gravitavano attorno all’orbita sovietica e uno faceva parte della Jugoslavia. L’ampliamento ha significato la fine simbolica e de facto della cortina di ferro che ha diviso l’Europa a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale (1945).
Edgar Morin, filosofo e sociologo francese, aveva detto in proposito: «Solo per il tramite dell’Ue, le nazioni dell’Europa centro-orientale hanno potuto vedere in una nuova prospettiva le relazioni con le nazioni vicine, adottando una politica di conciliazione per dissolvere contese radicate».
Il trattato che permise l’ammissione dei nuovi Paesi fu firmato ad Atene il 16 aprile 2003 ed è entrato in vigore il primo maggio dell’anno successivo: il testo ha modificato alcuni dei principali regolamenti Ue, come il voto a maggioranza qualificata del Consiglio dell’Unione. Alzabandiera, fuochi d’artificio e Inno alla Gioia hanno fatto da contorno alla cerimonia principale di ingresso nell’Ue con tutti i leader nazionali a Dublino.
Dall’emiciclo dell’Europarlamento di Strasburgo, si sono levati gli applausi per il saluto tra Prodi e l’attuale presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Attorno a loro, erano presenti dieci ragazzi provenienti dai Paesi che hanno aderito vent’anni fa all’Unione e che sono nati proprio l’1 maggio del 2004. «I nostri genitori facevano a gara su chi avrebbe avuto il primo figlio nato dentro l’Ue», racconta un giovane. Una ragazza descrive il suo sogno: «Voglio diventare una scienziata: è un lavoro che richiede collaborazione tra persone di Paesi diversi e per questo voglio fare un’esperienza Erasmus».
Sognare è quello che ha fatto la generazione precedente: sono tutti qui i capi di Stato e di governo dei Paesi annessi e i maggiori esponenti delle istituzioni europee. Oltre a Prodi, prende la parola l’allora presidente del Parlamento europeo Pat Cox che, indicando la bandiera blu con il cerchio di stelle alle spalle, ricorda che l’Europa «è armonia, in letteratura, le stelle rappresentano il sogno. Dobbiamo fare in modo che l’Ue sia aperta ai nuovi Paesi che condividono il desiderio di far parte della nostra famiglia».
Il disegno di Robert Schuman, ministro degli Esteri francese nel 1950, tra i fondatori della CECA, Comunità europea del carbone e dell’acciaio, e padre di quella che oggi è l’Unione europea, è ora un dialogo generazionale tra chi ha reso possibile l’oggi e i ragazzi che hanno la fortuna di vivere in un continente dove proliferano, come ha ribadito von der Leyen, «pace e prosperità. L’Ue è la promessa che tutti i cittadini possano decidere del proprio destino. L’ingresso dei nuovi Stati ha reso l’Unione più forte, ma ora bisogna completare il disegno». La presidente si riferisce ai negoziati con Ucraina, Moldavia e Georgia e sostiene che una vittoria del presidente russo Putin «potrebbe cambiare non soltanto la cartina geografica, ma il percorso che la stessa Unione sta facendo. L’unica soluzione è parlare lo stesso linguaggio bellicista di Mosca fornendo a Kiev la possibilità di difendersi coi mezzi adeguati».
Emozionata, la presidente del Parlamento Roberta Metsola, maltese, ricorda quando La Valletta festeggiò l’ingresso nella comunità: «Come centinaia di persone, non dimenticherò mai dove fossi la notte tra il 31 aprile e il primo maggio: stavamo facendo il conto alla rovescia. L’enorme folla rimarrà nella mia memoria per sempre. Tutti guardavano alla speranza, abbiamo visto il potenziale del nostro popolo e avevamo una visione d’ottimismo».
Da sogno a realtà, Metsola mette in chiaro che le differenze tra i popoli non devono impedire di continuare a credere in un futuro comune: «L’ingresso nell’Ue non significa solo un’adesione alle leggi, non cerchiamo di rendere tutti uguali: essere europei significa accogliere le differenze garantendo al contempo l’uguaglianza. Tutti devono avere le stesse possibilità anche se abbiamo punti di vista differenti».
L’allora ministro degli esteri cipriota Giorgios Iacovou, rispondendo alla domanda del suo connazionale più giovane Kyrios, al centro dell’emiciclo dell’Europarlamento, sottolinea che nel suo Paese molti speravano che aderire all’Unione avrebbe comportato anche l’unificazione di Cipro: «Io ormai sono anziano, tu porti lo stesso nome di mio nonno e di mio figlio e spero che la tua generazione possa farcela un giorno e possa ottenere quello che non è riuscito a fare la mia».