“La libertà di stampa in tutto il mondo è minacciata proprio da coloro che dovrebbero esserne garanti: le autorità politiche”. Si apre con un’affermazione dura e inequivocabile il 2024 World Press Freedom Index – journalism under political pressure, pubblicato pochi giorni fa da Reporters sans Frontieres. Con questo documento la Ong francese, che dal 1985 monitora ogni forma di attacco ai media, denuncia un generalizzato deterioramento della libertà di stampa e di informazione. Un dato preoccupante, considerato il fatto che durante il 2024 saranno chiamate al voto più di 2 miliardi di persone e che le elezioni sono il momento in cui i tentativi di silenziare i giornalisti scomodi si fanno frequenti e aggressivi.
Tra le cause di questo fenomeno c’è la violenza delle guerre – a Gaza negli ultimi mesi sono stati uccisi più di 100 giornalisti, 22 dei quali mentre svolgevano il proprio lavoro – ma soprattutto le pressioni dei partiti politici, che cercano di controllare l’informazione in modo più o meno subdolo. Dai grafici elaborati da Rsf, è chiaro che ad essere interessati non sono solo i regimi illiberali ma anche le democrazie occidentali.
Gli indicatori scelti dalla Ong per valutare il grado di libertà di stampa di un Paese sono cinque: il contesto politico, economico, socioculturale, il quadro giuridico e la sicurezza. Quello che ha fatto registrare il peggioramento più significativo è il primo. Anche la Norvegia, che nella classifica rimane al primo posto, ha visto calare il proprio punteggio in questa categoria mentre l’Irlanda, da seconda che era lo scorso anno è scrollata all’ottavo posto per le intimidazioni di carattere giudiziario a cui i politici hanno sottoposto gli organi di stampa. Scorrendo verso il basso la lista, che conta 138 stati, i metodi con cui i media vengono controllati dal potere politico si fanno sempre più drastici: si parte col discreditare i giornalisti e gestire tramite persone compiacenti agenzie, quotidiani e televisioni, come è avvenuto in Italia, al controllo di Internet e alla diffusione di deepfake per disinformare e censurare le notizie scomode, fino al bando, l’arresto o l’uccisione dei giornalisti come accade ancora in molti Paesi del mondo, dal Messico (121simo) alla Russia (162sima).
Quest’anno l’Italia è stata retrocessa di cinque posizioni, passando dal 41simo al 46simo posto. Secondo il report, la libertà di stampa continua ad essere minacciata dall’azione pervasiva di organizzazioni criminali, da quella violenta di piccoli gruppi estremisti e soprattutto da forze politiche che cercano di ostacolare e censurare gli organi di informazione. A riprova si cita la recente “legge bavaglio” proposta dal governo Meloni, che è soltanto l’ultima delle cosiddette SLAPP, azioni legali strategiche che servono ad intimidire i giornalisti per impedire loro di informare i cittadini.
La notizia ha scatenato moltissime polemiche nell’opinione pubblica italiana in cui si sono subito formati due schieramenti, uno a difesa e l’altro contro l’autorevolezza dei dati diffusi da Rsf. «Sono classifiche da prendere sempre un po’ con le molle perché si basano su elementi soggettivi e non rigorosi» dice Mattia Feltri, direttore dell’HuffPost Italia. «Quella sull’indice della corruzione, ad esempio, è impressionante, come si fa a stabilire qual è il Paese più corrotto? Se ci sono più inchieste può essere che la magistratura sia più attenta, per esempio».
E ragionando sulle motivazioni che hanno portato a questa marcia indietro dell’Italia afferma: «Ho notato che il nostro declassamento dipende anche dalla cosiddetta “legge bavaglio”, che in realtà ci ha chiesto l’Ue. Quindi, secondo questo ragionamento, è l’Unione europea ad avere “tendenze autoritarie”».
Quanto all’atteggiamento di autocensura, che secondo il report molti giornalisti italiani adotterebbero per evitare azioni legali, Feltri lo fa subito suo: «È un’esperienza che ho fatto molte volte nella mia vita da giornalista. Ci si autocensura per paura delle querele che sono tante e temerarie. Quello è sicuramente un elemento distorsivo del nostro sistema. Ma alla fine, bisogna pagare le cause e gli avvocati». E dopo una piccola parentesi sul potere che la pubblicità esercita oggi sui giornali, fattore che influisce anch’esso sulla libertà di chi li scrive, ribadisce: «Ti faccio un esempio per spiegarmi bene: lavoro da vent’anni per gli Agnelli e non ho mai fatto inchieste sui danni del motore a scoppio. La libertà non è mai assoluta».
Di tutt’altro parere è Tiziana Ferrario, nota giornalista e conduttrice televisiva che ha trascorso quasi tutta la sua vita professionale in Rai: «Non capisco perché tanto scetticismo verso un indice che per anni abbiamo considerato attendibile. Lo è come tutti i sondaggi che usano un campione per le loro analisi. Proprio per questo ci avvicina di più alla realtà» commenta. «Dalle risposte ai questionari anonimi inviati da Rsf a giornalisti e a persone che lavorano nel mondo dei media italiani è emerso questo risultato. Non vedo perché non debba valere niente».
A proposito del difficile rapporto fra politica e giornalismo spiega: «I politici non amano i bravi giornalisti perché il loro compito è quello di controllare il potere. Negli ultimi anni questa ostilità è aumentata. Se guardiamo agli Stati Uniti dove la stampa è considerata il quarto potere, Trump ha rotto un tabù soprannominando i giornalisti nemici del popolo». Volgendo di nuovo lo sguardo all’Italia, Ferrario non riesce a non pensare ai conflitti d’interesse che da tempo immemore l’affliggono: «Ad esempio, Angelucci, oltre ad essere parlamentare della Lega, è proprietario di una serie di giornali tutti schierati in una determinata area culturale» dice facendo riferimento alle voci su un presunto accordo tra l’imprenditore e i partiti della maggioranza di governo. «È chiaro che se compra un’importante agenzia di stampa come l’Agi, è difficile pretendere che vi sia pluralismo».
Ma è sulle agitazioni che in queste ore stanno scuotendo la Rai che dirotta presto la conversazione: «Oggi assistiamo ad uno sciopero di un intero sindacato di 1700 giornalisti che si sentono a disagio. Un disagio anche per la chiamata diretta, perché si dovrebbero fare dei concorsi pubblici per assumere i giornalisti» spiega Ferrario. Poi la sua voce si riempie di indignazione quando racconta della lotta che si combatte al suo interno: «È stupefacente che l’azienda critichi la credibilità dei suoi giornalisti e li accusi di diffondere fake news. Altrettanto curioso è il fatto che un piccolo sindacato, nato da poco, provi a boicottare lo sciopero di un altro sindacato. Anche questo non si era mai verificato in Rai». Una situazione in piena evoluzione che più di ogni altra mette in mostra il rapporto malsano fra politica e giornalismo e che sembra confermare il quadro descritto dal report di Rsf.
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