Si piantano i picchetti sul prato davanti al rettorato della Sapienza di Roma. Vecchi canti partigiani e di lotta accompagnano le operazioni. Dalla sera di lunedì 5 maggio, studenti e studentesse hanno montato le tende, sempre più il simbolo globale delle manifestazioni universitarie per la Palestina.
Il metodo innanzitutto, come ricorda Matilde, del coordinamento dei collettivi: «Se ci sarà l’accampata lo deciderà l’assemblea». Alle 17 si riuniscono poco meno di cento persone: ci sono anche professori e solidali. Il tema: come proseguire la lotta in supporto alla popolazione palestinese e costruire una mobilitazione permanente. «Serve un presidio fisso», ripetono i vari interventi. «I wanna sacrifice myself for Palestine!», grida un ragazzo arabo che si esprime con difficoltà in inglese, anche per un’emozione che lo fa inciampare con le parole.
Le rivendicazioni sono le stesse da sette mesi: l’interruzione dei rapporti con le università israeliane, accusate di supportare con la ricerca l’offensiva militare a Gaza, e con le industrie belliche.
Il richiamo è all’America e ai campus statunitensi, in subbuglio da due settimane e teatro di occupazioni e scontri. È notizia di ieri che la Columbia di New York, fra le prime ad essere state toccate dalle mobilitazioni, ha annullato la cerimonia di laurea per paura di incidenti. Dalla UCLA di Los Angeles, dove il presidio barricato è stato aggredito da manifestanti pro-Israele, alla Sciences Po di Parigi, dalla UNAM di Città del Messico all’Università di Sidney, in questi giorni gli accampamenti si stanno moltiplicando.
«Guardiamo a queste manifestazioni con grande interesse», continua Matilde, «anche perché – come sta succedendo ora in Europa – hanno portato tantissima gente non politicizzata ad interessarsi alla questione». Un collegamento fra le due sponde dell’atlantico che passa anche dall’American University of Roma, dove il collettivo American Student Action for Palestine (ASAP) ha piantato una prima simbolica tenda. «Da anni le usavamo per protestare», interviene Gaia, studentessa di Scienze Politiche, «oggi, invece, le tende sono un simbolo di lotta globale contro la guerra».
Da domenica 5 maggio anche a Bologna, studenti e studentesse si sono accampati in Piazza Scaravilli, davanti al rettorato dell’Alma Mater Studiorum. Qui hanno trascorso la giornata di lunedì fra pranzi, lezioni e cineforum. «Abbiamo scelto di farlo anche per esprimere la massima solidarietà agli universitari degli Stati Uniti», dice Anna del Collettivo Universitario Autonomo. «Ci rivolgiamo innanzitutto all’Università, partendo da una lunga campagna di boicottaggio accademico», continua, «ma vogliamo provare anche ad allargare il discorso ai governi e contrastare l’escalation bellica generale».
L’accampamento è un punto di partenza verso mobilitazioni future: «L’invasione di Rafah ce lo impone», commenta Gaia, «in questo momento “All eyes on Rafah” è il nostro mantra», sembra assecondarla Anna da Bologna. Intanto, a Roma, si prospettano tre giorni importanti la prossima settimana: il 13, con la riunione della Conferenza dei Rettori a cui presenzieranno anche i ministri Bernini e Piantedosi, il 14, con una nuova sessione del Senato Accademico della Sapienza, e, infine, il 15 maggio, anniversario della Nakba – la catastrofe, l’espulsione di più di settecento mila palestinesi dalle loro terre nel 1948.
AGGIORNAMENTO:
Le tende per la Palestina sono arrivate martedì 7 maggio anche a Napoli, all’Università Federico II, nel cortile della sede di via Porta di Massa. L’accampamento, sormontato da un grande striscione con scritto “Stop al genocidio”, è stato allestito dalla Rete studentesca per la Palestina, che ha rivendicato l’azione «in risposta all’appello internazionale di mobilitazione studentesca», aggiungendo, come si legge sui loro profili social: « L’Intifada Studentesca travolgerà questa fase storica, con l’obiettivo ben chiaro di fermare il genocidio in Palestina e l’occupazione coloniale sionista»