Il luccichio dei gioielli, le borsette colme di banconote, le bollicine dello champagne, il lusso da ostentare sui social media. Basta questo per convincere una sedicenne a vendere il proprio corpo? Il giro di prostituzione minorile scoperto a Bari, così come quello che coinvolse nel 2013 minorenni del quartiere Parioli, nella Roma “bene”, non era formato da ragazze con problemi economici familiari. Eppure, dalle testimonianze raccolte, fare soldi sembra l’assoluta priorità.
Sarebbe sbagliato, però, ridurre il denaro a un mero mezzo di scambio e di pagamento, come afferma Margherita Napoli, psicologa clinica e sessuologa, dottoressa di Arpes, l’Associazione psicologia e sessuologia di Roma: «Dobbiamo pensare ai soldi come generatori di potere e come strumento per affermare se stessi. Poter comprare con facilità, mettersi in mostra, farsi invidiare dagli altri. Essere indipendenti senza chiedere ai propri genitori e sentirsi grandi».
Una crisi valoriale prodotta dalla società odierna che ci illude di essere importanti solo quando siamo in vista, riducendo così una persona alla sua apparenza: «Questo certo non fa che peggiorare anche un possibile disturbo di personalità narcisistico ed egocentrico. Si perde di vista la gravità della situazione e non si ha coscienza della mercificazione del proprio corpo in atto».
Il traffico sessuale in questione era sostenuto da un’organizzazione capillare e solida. Le liceali venivano fatte prostituire in alberghi e bed and breakfast tra Bari, Monopoli e Trani, dove ad attenderle c’erano uomini adulti e facoltosi, tra cui diversi imprenditori e avvocati della zona, consapevoli della loro minore età. Per conquistare la fiducia delle più piccole e instaurare con loro un legame, le donne più adulte che gestivano l’attività, ora in carcere con l’accusa di sfruttamento della prostituzione minorile, amavano definirsi la Squad girls. Un espediente con lo scopo di creare un senso di appartenenza, «un meccanismo per far sentire importanti queste ragazzine, per tenerle sotto il loro controllo. Il nome “squadra” dà l’idea di unione, come per dire “Io sono qui, non è così difficile, puoi farlo anche tu. Insieme possiamo far parte di questa cosa”. Così la vergogna, il timore, la paura di possibili ripercussioni scompaiono», aggiunge la psicologa.
Complice di questa ambizione al guadagno facile anche la nascita di piattaforme come OnlyFans – app specializzata nell’intrattenimento per adulti – fautrici di una nuova cultura del lavoro che normalizza la pratica di monetizzare attraverso la vendita di scatti intimi. Ciò potrebbe influenzare in modo negativo i più giovani che attraversano un periodo delicato come l’adolescenza. Da quanto emerge dalle indagini, una delle ragazze che si prostituiva avrebbe cercato di “reclutare” altre compagne di classe: «Mi diceva di stare tranquilla, perché senza fare nulla avremmo guadagnato», ha confessato una di loro agli inquirenti.
L’inchiesta è partita grazie alla denuncia di due mamme sospettose dopo aver trovato diversi contanti nel portafoglio delle figlie e messaggi compromettenti sul cellulare. Il ruolo della famiglia, in questi casi, è fondamentale: «Non si può colpevolizzare il sistema scolastico, perché tutto parte dal nucleo familiare dove non dovrebbero mai mancare attenzione e dialogo. Purtroppo viviamo in una società che ti induce a fare tutto questo e spesso ci sono famiglie che non si confrontano con i propri figli. È un circolo vizioso e si deve avere anche la forza di affrontare la realtà e condannare certi comportamenti».
Impegnata in prima persona anche nelle scuole con lezioni su prevenzione e sessualità nell’età adolescenziale, la dottoressa Napoli spiega come l’educazione sessuale non debba solo essere garantita, ma anche ripensata: «Parlare di malattie sessualmente trasmissibili e di metodi contraccettivi è sempre utile, ma ormai non più sufficiente. Servirebbero dei corsi specifici su queste nuove tematiche, sul rapporto tra il corpo e la sua rappresentazione nella dimensione online».