Esclusiva

Maggio 17 2024
La Georgia al bivio tra Europa e Russia

Dopo l’approvazione della discussa legge “sugli agenti stranieri”, il Paese attende di conoscere il proprio destino. In gioco c’è il fragile equilibrio politico del Caucaso

«Siamo davanti ad una rivolta popolare partita dal basso che non ha nessun rapporto di filiazione con partiti politici di opposizione né Ong o organizzazioni esterne. Non devi per forza essere assistito da qualcuno per voler rivendicare la libertà civica e i tuoi diritti» dichiara Nona Mikhelidze, ricercatrice presso l’Istituto Affari Internazionali, commentando la situazione di grande tensione che sta vivendo in queste ore il suo Paese, la Georgia.

Il 14 maggio il parlamento ha approvato in terza e ultima lettura la legge “sugli agenti stranieri”, che prevede per i media e le Ong che ricevono più del 20% dei loro finanziamenti dall’estero la registrazione come “organizzazioni che perseguono gli interessi di una potenza straniera” e il loro controllo da parte del ministero della Giustizia. Per il governo, il provvedimento aumenterà la trasparenza nel Paese. Secondo le opposizioni, invece, il suo modello è una legge russa che Mosca usa da anni per silenziare il dissenso, neutralizzare i media indipendenti e controllare la società civile.

Durante la seduta la discussione è presto degenerata in rissa. I rappresentanti di maggioranza e opposizione si sono accalcati tra i banchi non risparmiando ai propri avversari grida e spintoni. Anche fuori dal Parlamento il clima è diventato subito incandescente. Alla notizia dell’approvazione della norma, migliaia di manifestanti hanno sfondato le recinzioni di ferro messe a protezione del palazzo e sono entrati nel cortile. La polizia li ha poi fatti sgomberare arrestandone alcuni.

Ma la violenza delle proteste contro questa legge non è cosa nuova in Georgia, sia fuori che dentro le sedi istituzionali. Sono mesi che l’opinione pubblica esprime il proprio dissenso riempiendo le piazze, nonostante gli scontri sempre più frequenti con le forze dell’ordine. Scontri a cui neanche i politici riescono più a sottrarsi. Durante la seduta del primo maggio, giorno in cui la norma è stata approvata in seconda lettura, il leader dell’opposizione si è presentato in sedia a rotelle e con il naso rotto perché la sera prima era stato picchiato dalla polizia. Disordini di eguale entità si erano verificati poco più di un anno fa, quando il governo, sempre guidato dal partito Sogno Georgiano, aveva proposto per la prima volta il provvedimento, ritirato subito dopo perché troppo impopolare.  

«Il desiderio di avvicinarsi all’Europa è sempre stato molto forte in Georgia» spiega Mikhelidze. «Dopo il collasso dell’Urss, il Paese si è trovato davanti a due diversi modelli di sviluppo e ha preferito scegliere quello che le permettesse di salvaguardare la propria cultura e di vivere meglio. È vero, oggi l’Europa ha dei problemi» continua, «ma la Russia è associata alla corruzione, al nepotismo, al degrado sociale, ad un governo guidato dalla stessa persona da 25 anni. Non è più un punto di riferimento e un modello di sviluppo a cui aspirare». A pensarla così sono soprattutto i giovani della generazione Z che, secondo la ricercatrice, sono i più refrattari all’influenza del Cremlino perché non capiscono e non parlano il russo: «Per loro essere pro-Europa non è solo una scelta politica ma uno stile di vita. L’Europa è portatrice di valori di benessere, tolleranza e inclusione delle minoranze come quella lgbtq».

La forte spinta verso l’Occidente di cui parla l’analista però sembra non aver riscontro nella recente azione del governo. «Sogno Georgiano non è un partito filorusso» spiega. «Sin dalla sua nascita si è sempre dichiarato a favore di un avvicinamento all’Occidente. Nessuna forza politica può avere successo in Georgia se non segue questo orientamento». Tuttavia, il suo operato sembra essere ricco di contraddizioni. Se da un lato ha firmato accordi di associazione con l’Unione Europea, ha promosso le liberalizzazioni ed è riuscito a ottenere lo status di candidato all’ingresso nell’Ue nel dicembre 2023, dall’altro ha iniziato un percorso di riavvicinamento alla Russia di Putin. 

Tra i provvedimenti più controversi c’è quello che ha ripristinato in Georgia la ricezione dei canali televisivi russi, banditi anni fa dall’ex presidente Saakashvili, capo del Movimento Nazionale Unito ora all’opposizione, perché considerati una fonte di disinformazione e una minaccia alla sicurezza nazionale. Un’altra spia che testimonia il desiderio da parte di Tbilisi di ritornare al passato è l’aver scelto di nuovo Mosca come meta principale delle proprie esportazioni. 

Senza dimenticare le allarmanti dichiarazioni rilasciate lo scorso 29 aprile dal fondatore di Sogno Georgiano, Bidzina Ivanishvili, che si teme stia preparando l’opinione pubblica a una svolta autoritaria. Il miliardario, che ha fatto fortuna in Russia diventando l’uomo più ricco del Paese, ha tenuto un discorso che ricorda quelli di Putin sia per i toni che per i contenuti. Ha promesso di neutralizzare la comunità lgbt, ha difeso la contestata legge “sugli agenti stranieri” e si è scagliato contro la società civile che si oppone alle politiche del governo. Ha inoltre accusato l’Occidente di essere “il partito della guerra” e allo stesso tempo ha ribadito l’obiettivo della Georgia di entrare nell’Unione Europea entro il 2030.  

«Temo che possa verificarsi uno scenario simile a quello che nel 2013 portò gli ucraini alle proteste di Euromaidan» afferma Mikhelidze, riferendosi alla decisione presa dall’ex presidente Janukovyc di interrompere i negoziati per l’accordo di associazione con l’Ue. L’approvazione della legge “sugli agenti stranieri” di fatto sabota le trattative in corso e potrebbe far perdere al Paese caucasico lo status di candidato all’ingresso nell’Unione Europea ottenuto pochi mesi fa. 

«In realtà io mi sono espressa contro questa promozione» ricorda l’analista, «e non perché non sia europeista ma perché la Georgia non era pronta a questo passo. Aveva soddisfatto solo tre delle nove condizioni imposte dall’Europa». Dal suo punto di vista le ragioni per cui ha ottenuto questo risultato sono frutto di calcoli geopolitici: «È stato un escamotage per evitare che il Paese precipitasse nell’orbita de Cremlino. Tuttavia, il processo di integrazione non deve essere fine a sé stesso ma deve servire al miglioramento del sistema democratico dello stato che entra a far parte dell’Unione».

Ora il parlamento georgiano ha una decina di giorni per inviare la nuova legge alla Presidente Salomé Zourabichvili che, essendo filoeuropea, l’ha definita “in contrasto con la volontà del popolo” e parte di “una strategia russa per destabilizzare il Paese”. Anche se ponesse il veto, i leader di Sogno Georgiano avrebbero abbastanza voti per approvarla di nuovo.

«Spero nell’azione persuasiva della diplomazia europea» dice Mikhelidze guardando ai possibili scenari futuri. «Mancano solo cinque mesi alle prossime elezioni politiche e nessuno ha interesse a forzare la mano» continua. «Se il governo, una volta che la legge sarà rinviata al Parlamento, deciderà di temporeggiare fino all’apertura delle urne, sarà una vittoria della piazza. Se invece deciderà di approvarla comunque, non so quali forme potrà prendere la protesta».

In attesa di conoscere la sua sorte, la Georgia condivide questo stato di fragilità e incertezza con altre ex repubbliche sovietiche, in bilico tra passato e futuro, tra un regime autoritario che vorrebbe trasformarla in un proprio prolungamento, e le democrazie occidentali che offrono la speranza di libertà, sicurezza e indipendenza.  

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