500 kg di tritolo per silenziarli: il 23 maggio 1992 i magistrati Giovanni Falcone e Francesca Morvillo furono uccisi dall’organizzazione criminale Cosa Nostra.
Nell’attentato muoiono anche tre agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Le tre auto su cui viaggiavano vennero fatte saltare sull’autostrada A29, all’altezza di Capaci in Sicilia.
«Ho ucciso Giovanni Falcone. Ma non era la prima volta. Ho commesso e ordinato personalmente oltre centocinquanta delitti. Ancora oggi non riesco a ricordare tutti, uno per uno, i nomi di quelli che ho ucciso. Molti più di cento, di sicuro meno di duecento» ha confessato il mafioso Giovanni Brusca.
Diventato collaboratore di giustizia, Brusca ha raccontato che Falcone era obiettivo della mafia fin dal 1983, da quando cioè fu costituito il pool antimafia di Palermo, la squadra di magistrati che indagò su Cosa Nostra e istruì il maxiprocesso.
Nello specifico il mandante dell’assassinio era Salvatore Riina, all’epoca capo di Cosa Nostra, circondato da pochi fedelissimi: Leoluca Bagarella, il numero due, Matteo Messina Denaro, Nino Gioè e Gioacchino La Barbera.
Nel capoluogo, per commemorare i 32 anni dalla strage, è stata esposta la teca dei resti della Quarto Savona 15, la macchina dei membri della scorta.
Dal 1993, l’anno dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio, il Sindacato Autonomo di Polizia organizza questa giornata dedicata alle vittime della mafia e del terrorismo: «Palermo è la città che ha versato il più alto tributo di sangue» ha dichiarato il segretario provinciale del Sap, Danilo Geraci.