Galeotto fu il libro e chi lo scrisse. Due studenti di religione musulmana della scuola media Felissent di Treviso sono stati esonerati dall’insegnante di Italiano dallo studio della Divina commedia di Dante Alighieri: in quanto testo cattolico, alcuni riferimenti all’Islam potrebbero offendere i credenti. Gli studenti non frequentavano già le lezioni di religione, e la professoressa Luciana Berton ha parlato anche con le famiglie prima di arrivare alla decisione di sostituire il testo dantesco con il Decameron di Boccaccio.
Già veggia, per mezzul perdere o lulla,/com’io vidi un, così non si pertugia,/rotto dal mento infin dove si trulla./Tra le gambe pendevan le minugia;/la corata pareva e ’l tristo sacco/che merda fa di quel che si trangugia.
Questi sono i versi incriminati. Appartengono al XXVIII canto dell’Inferno dove guerra, armi e i seminatori di discordia costituiscono il tema principale: si evocano conflitti passati, Troiani e Achei, Romani e Annibale, Cesare e Pompeo, quelli presenti all’epoca di Dante, come la battaglia di Benevento del 1266, e del futuro: l’assedio dei Novaresi alle montagne di Biella su cui si era rifugiato Dolcino, predicatore millenarista accusato di eresia dal Tribunale dell’Inquisizione e giustiziato sul rogo nel 1307.
A predirlo è Maometto che il Sommo poeta inserisce nella nona bolgia perché «ha diviso i monoteisti», afferma Gianfranco Lauretano poeta, fondatore e direttore della rivista Graphie. Lo scopo di Dante è quello di mostrare la punizione per coloro che hanno creato divisioni e conflitti: «È l’idea che ha di Maometto, ha imbrogliato le persone di fede. Lo rappresenta come se fosse un cristiano interno alla religione unica che ha causato uno scisma», continua Lauretano.
Il contrappasso è la legge per cui la pena che i dannati devono scontare nell’Inferno riproduce la colpa di cui si sono macchiati in vita. Dante rappresenta l’anima lacerata non solo di Maometto, ma anche di Pier da Medicina, che predice il tradimento di Malatestino da Rimini ai danni di due nobili di Fano, di Caio Curione, che consigliò a Cesare di passare il fiume Rubicone, di Mosca dei Lamberti, che diede inizio alle lotte tra guelfi e ghibellini e di Bertram dal Bornio che ha suscitato discordia tra Enrico II d’Inghilterra e il figlio Enrico III.
Diversi sono gli spunti di analisi, il primo riguarda il fatto che viene data una lettura decontestualizzata sia dell’opera che dell’autore rispetto al pensiero dell’epoca: «Dante ha ammirazione per l’Islam: celebra Averroè, filosofo, medico e giurisperito arabo che ha fatto da tramite tra la filosofia antica, in particolare quella aristotelica, e il Medioevo. Non si può leggere con la chiave di lettura di oggi un’opera che ha settecento anni».
Lauretano, però, entra nel merito dell’accaduto dicendo che c’è stato un errore di metodo: «Una professoressa che chiede ai genitori degli alunni di poter insegnare qualcosa è il sintomo di un abbassamento dell’autorevolezza degli insegnanti».
La letteratura è divisiva? Il ragionamento utilizzato con Maometto allora deve essere applicato anche alla religione cristiana. “Quanti sono i papi che Dante mette nell’Inferno?”, si chiede Lauretano. «E allora il poeta dà una lettura sbagliata anche del cattolicesimo. Un docente deve avere gli strumenti per far capire agli alunni che un’opera è il prodotto di un determinato periodo storico. Se il metodo è quello, allora tutto è divisivo. Per i genitori cristiani bisogna eliminare il settimo secolo della storia perché c’è Maometto. Gli antifascisti dovrebbero far togliere dai manuali il ventennio fascista perché non vogliono che ai figli si parli di Mussolini».
Probabilmente non accadrà nulla alla docente, ma bisogna far passare un messaggio: «Per non offendere l’altro alla fine ti blocchi: è il principio della censura. La cosa più grave è il comportamento dell’insegnante. Piuttosto avrebbe dovuto decidere di non far studiare Dante a nessuno, ma sostituirlo con uno scrittore che ha irriso preti e religioni, come Boccaccio, è un po’ irrituale».