La prima pagina di uno dei giornali più celebri in America, sei colonne, un’unica foto e un titolo composto da una sola parola: «guilty», colpevole. Così il New York Times apre il quotidiano il 31 maggio 2024. Il giorno prima, l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump è stato condannato per tutti i 34 capi di imputazione, nel processo per i pagamenti alla pornostar Stormy Daniels. L’accusa era di aver falsificato la rendicontazione delle spese per la campagna elettorale del 2016, spacciando come consulenza legale fondi che in realtà furono usati per comprare il silenzio dell’attrice, con cui aveva passato una notte di sesso nel 2006.
Lo storico verdetto è stato raggiunto dopo due giorni di camera del consiglio, a seguito dei quali la giuria – composta da dodici membri – ha votato all’unanimità per la colpevolezza dell’ex capo di Stato. La pena sarà stabilita in un’udienza, prevista per l’11 luglio.
Trump diventa così il primo ex presidente degli Stati Uniti ad essere condannato in un processo penale e anche il primo candidato a procedere con la sua campagna elettorale da pregiudicato. «Nessuna disposizione costituzionale gli impedirebbe persino di servire come presidente da una cella in prigione», riporta il New York Times online.
Cosa significa per le prossime elezioni americane? «Assolutamente niente. Non gli impedisce di candidarsi alla presidenza. Quindi, ciò che significa dipende solo da quanto gli elettori se ne preoccuperanno o meno», dice Marc Scholl, ex procuratore nel distretto di Manhattan.
«Quest’uomo è stato giudizialmente riconosciuto negli ultimi mesi come diffamatore, molestatore sessuale e truffatore finanziario. E ora ha addirittura una condanna penale. Non ha senso che tutto ciò non abbia delle conseguenze», aggiunge.
Secondo l’ex procuratore, questa procedura non ha niente a che fare con l’andamento del sistema americano: «La giustizia funziona. Il fatto è che i cittadini non si curano del problema. Negli Stati Uniti, di questi tempi, c’è una grande divisione e le persone sono riluttanti a cambiare idea in base ai fatti».
Posizione non condivisa da Sean Wilentz, professore di storia americana alla Princeton University: «Per rendere i condannati ineleggibili alla presidenza sarebbe necessario un emendamento costituzionale. Nelle attuali circostanze, sarebbe impossibile da realizzare. I redattori della Costituzione avevano effettivamente previsto qualcosa del genere, non per un condannato ma per un demagogo [chi cerca di ottenere il favore del popolo con lusinghe e promesse a fini personali, ndr] senza scrupoli sì. Hanno fatto del loro meglio per impedirlo, attraverso un sistema di pesi e contrappesi. Penso che la soluzione migliore per l’intero fenomeno Trump sia politica e legale, non costituzionale».
Ma come reagiranno i Repubblicani? Nella visione dell’ex procuratore Scholl «il partito è controllato da Donald Trump. Ha una nuora che gestisce il Comitato Nazionale e non ci sono abbastanza persone che si opporranno a livello interno. In molti paesi i partiti politici hanno una visione chiara di ciò che vogliono. Negli Usa, sembra che tutto ruoti intorno a “cosa vuole Donald Trump” e basta».
Secondo lo storico della Princeton: «La condanna intacca l’immagine di invulnerabilità che è sempre stata la chiave del successo di Trump, sia come personaggio che come politico. Anche se darà la colpa ai Democratici e al “deep state”, ormai ha perso. Questo non influenzerà molto i suoi sostenitori più accaniti: qualsiasi cosa gli accada intensifica solo la loro venerazione. Ma per gli altri elettori, può avere solo un impatto negativo, non decisivo in sé, ma in grado di avviare un declino più ampio», aggiunge.
Per salvare la situazione con i suoi fautori, l’ex presidente agirà come da manuale: «Tratterà il tutto non come una crisi della sua reputazione, ma di quella di Biden e dei Democratici. Questo è il suo modus operandi. Farà del suo meglio per mettere in cattiva luce l’avversario attraverso suo figlio [Hunter Biden, ndr], ma questa strategia non ha ottenuto molto successo neanche in passato. Trump riuscirà a inventarsi qualcosa di nuovo? Ne dubito», conclude Wilentz.