Pasquale Tridico, ex direttore dell’Inps (Istituto nazione della previdenza sociale) dal 2019 al 2023, si è candidato nella circoscrizione Sud per le elezioni europee dell’8 e 9 giugno 2024 con il Movimento 5 stelle. È docente universitario di politica economica presso l’Università di Roma Tre dove è direttore del centro di ricerca di eccellenza “Jean Monnet” Labour, Welfare and Social Rights.
Voi non volete che l’Italia e l’Ue inviino nuove armi all’Ucraina e proponete invece un cessate il fuoco e l’avvio di negoziati. Qual è la proposta concreta per far sedere il presidente della Russia Putin al tavolo con l’Ue e il presidente ucraino Zelensky?
«La strategia europea del muro contro muro sostenuta fino a oggi non ha prodotto i frutti sperati. Il solo sostegno militare all’Ucraina non ha portato la pace, ma ha aggravato la situazione sul campo contribuendo a coltivare l’illusoria speranza di sconfiggere una potenza nucleare come la Russia. Si deve cambiare strategia perché i costi umani, sociali ed economici sono troppo alti e bisogna scommettere su una soluzione negoziale che possa mettere fine a questo conflitto che non è certo iniziato due anni fa con l’invasione russa. Gli accordi di Minsk del 2014 hanno messo una pezza, ma alla fine tutti i nodi sono venuti al pettine. Fra Ucraina e Russia persistono problematiche geopolitiche, territoriali e di natura costituzionale che vanno affrontate e questo può essere fatto solo sedendosi attorno a un tavolo negoziale. Nel nostro programma per le elezioni europee è prevista l’apertura di una Conferenza di pace da tenere sotto l’egida dell’Onu che è l’unico organismo che può garantire gli interessi di entrambi i contendenti. Serve una pace giusta e più tempo ritardiamo i negoziati peggio sarà per gli ucraini che noi sosteniamo senza se e senza ma. Mia moglie è ucraina, abbiamo sofferto in casa la violenza dell’aggressione russa. Perpetrare la guerra è innanzitutto un male nei confronti del popolo ucraino».
Gli edifici scolastici in Italia sono agibili al 52.9%, ma al Sud non è agibile il 20% in più. Cosa accadrà con l’autonomia differenziata?
«Secondo dati Svimez, nel corso del ‘900 il Mezzogiorno ha contribuito con un’emigrazione di ben 25 milioni di cittadini allo sviluppo industriale del Nord. A fronte di questa storia economica del nostro Paese, l’autonomia differenziata è un tradimento verso il Sud e rappresenta una sconfitta per tutti noi. Mi chiedo come due forze politiche come Fratelli d’Italia e Forza Italia che hanno nel nome il nostro Paese possano votare una riforma che spezzetta l’Italia in 23 diversi ordinamenti con competenze proprie e diversificate su, tra le altre cose, salute, istruzione e sport. L’istruzione rappresenta il futuro della nostra Nazione, già adesso i dati che lei ha riportato evidenziano un grave ritardo delle regioni del Sud. Con l’autonomia differenziata aumenterà portando una disparità significativa nell’offerta formativa tra le varie regioni».
Quali sono le vostre idee sulla Politica agricola comune?
«La Pac e i suoi sussidi sono diventati la bombola d’ossigeno dei nostri agricoltori. Riformarla senza rivedere dalla radice il nostro modello di sviluppo non risolve nulla. Lo abbiamo visto con la crisi dei trattori: l’Ue ha modificato qualche regolamento, ha alleggerito il carico burocratico e ambientale degli agricoltori, ma di base non è cambiato nulla. Nel programma del M5S proponiamo un nuovo tipo di trattati commerciali e una riforma della filiera che oggi avvantaggia i grandi distributori. Chiediamo il rispetto del principio di equipollenza: se si decide che un pesticida non può essere più utilizzato dagli agricoltori in Europa perché non è sicuro o perché è nocivo per l’ambiente, allora deve essere vietato l’import di tutti i prodotti trattati con questo pesticida. Noi diciamo “no” alla concorrenza sleale e a un sistema che oggi avvantaggia la grande distribuzione rispetto ai piccoli produttori. Su questo l’Europa è stata assente finora».
Lei ha vinto la borsa di studio Fulbright 2010-2011. Cosa si porta dietro da quell’esperienza?
«È stata sicuramente una delle esperienze dal punto di vista formativo e scientifico più importanti della mia carriera. Ho avuto la possibilità di conoscere da vicino il mondo accademico americano e di confrontare il loro modello sociale con quello europeo. Dalle analisi e ricerche da me effettuate è emersa una superiorità netta dal punto di vista della distribuzione del reddito del modello sociale europeo. Il Welfare europeo è migliore, ha funzionato bene anche negli USA con Rooselvelt fino a Nixon, poi da Reagan in poi c’è stato un forte declino e questo ha aumentato le diseguaglianze, le povertà e l’esclusione sociale. Un dato mi colpì molto all’epoca: l’aspettativa di vita dei neri d’America era di 70 anni, inferiore addirittura a quella dei cinesi. Il mancato accesso alle cure e la mancanza di uno stile di vita sano, tipico dei ceti bassi americani, riduce l’aspettativa di vita. Questo è inaccettabile per un Paese del G7 e considerato leader del mondo».
Come pensa che le potrebbe essere utile l’esperienza accumulata durante i suoi studi in giro per il mondo se venisse eletto al Parlamento europeo?
«Spero molto. Quello che manca oggi è un welfare europeo. Abbiamo regole su banche e finanza, condividiamo una moneta, ma non ci sono misure di protezione sociale comuni. Durante i miei anni di docenza mi sono confrontato molto con i colleghi esteri e abbiamo sempre trovato una convergenza teorica che adesso va portata in pratica con misure ambiziose e coraggiose che mettano i cittadini al centro del processo decisionale e non qualche multinazionale o centro d’affari. Oltre ai miei studi nell’economia del lavoro porto anche la mia esperienza come Presidenza dell’Inps fra il 2019 e il 2023: durante il Covid abbiamo affrontato la crisi sanitaria da un punto di vista sociale. Metto questa esperienza al servizio della costruzione del welfare europeo».