Esclusiva

Giugno 14 2024.
 
Ultimo aggiornamento: Giugno 15 2024
Medaglie a peso d’oro

A cento giorni dai Giochi, la World Athletics ha annunciato cambiamenti nella premiazione dei vincitori. «È stato sfatato un tabù» secondo Stefano Mei

Un tempo l’alloro, oggi il denaro, questa è la metamorfosi del premio olimpico. Il valore simbolico espresso dalla pianta di Dafne viene sostituito dalla moneta. Nel corso dei secoli sono cambiati i campioni e gli sport in gara, ma le Olimpiadi hanno continuato ad essere uno specchio dello spirito del tempo. «L’importante non è vincere, ma partecipare», affermava il fondatore della competizione Pierre de Coubertin. Oggi, invece, il successo sembra diventare l’unico scopo.

La World Athletics, in vista di Parigi 2024, ha previsto un premio di cinquantamila dollari per le medaglie d’oro in ciascuna delle quarantotto sfide organizzate, dai cento metri al salto in alto. L’obiettivo è stabilire entro il 2028 una retribuzione per tutti coloro che arriveranno sul podio. Sebastian Coe, presidente della federazione internazionale, ha sottolineato che l’introduzione del premio rappresenta «una nuova pietra miliare nella storia del nostro sport, nella storia dell’atletica».

Questa innovazione ha sollevato molte perplessità soprattutto sul piano etico. Dare un prezzo all’impegno e ai risultati dei corridori vuol dire valutare economicamente le prestazioni sportive di chi partecipa ad una gara che ha da sempre avuto carattere dilettantistico. La risposta di Stefano Mei, presidente della Federazione italiana di atletica leggera ed ex mezzofondista, agli interrogativi sull’ultima decisione della World Athletics parte da una profonda riflessione sul significato e sull’evoluzione dei Giochi olimpici. «Le Olimpiadi sono considerate ancora oggi un’isola felice, ma con i Giochi non riusciamo più a fermare le guerre o a portare la pace, come era più di duemila anni fa. È evidente che i tempi siano cambiati. Il mondo è cambiato».

Sono state molte le critiche anche da parte di altre federazioni, che hanno visto l’ultima decisione di Coe come una minaccia al principio di solidarietà. «I comitati olimpici prevedevano già una ricompensa in denaro per coloro i quali hanno la fortuna, la bravura e il merito di vincere una medaglia alle Olimpiadi. – afferma Mei – Quindi, non bisogna scandalizzarsi. Finalmente è stato sfatato un tabù. Trovo, anzi, molto più sconvolgente definire i Giochi olimpici dilettantistici». Arrivare sul podio richiede anni di sforzo, sacrificio e completa dedizione. Una vita che non permette distrazioni e non concede tempo ad attività parallele. «Gli sportivi sono attori di un grande spettacolo. Ma, a differenza dei protagonisti di uno spettacolo teatrale, gli sportivi hanno un tempo limitato in cui svolgere il loro lavoro, per poi ricominciare a vivere rinunciando alla sua passione. È giusto che la fatica abbia un suo ritorno. Io sono sempre dalla parte degli atleti e il loro guadagno mi rende felice».

In altri sport l’aspetto economico è ben radicato e il mercato è parte fondamentale del gioco. Per il calcio, così come per l’Nba negli Stati Uniti, si raggiungono ingaggi altissimi. Per la realizzazione del mondiale di calcio in Qatar nel 2022 sono stati spesi circa duecentoventi miliardi di dollari per le infrastrutture. Il basket americano registra un totale di entrate annue di quasi undici miliardi di dollari. I guadagni dei protagonisti di queste competizioni raggiungono cifre multimilionarie. Per le Olimpiadi di Tokyo 2021 sono stati spesi circa dieci miliardi di dollari e le ricompense previste nel 2024 per i primi classificati non sono equiparabili a quelle dei campioni delle gare più seguite. Gli introiti di queste manifestazioni sono meno cospicui rispetto a quelli generati dai campionati annuali di calciatori e cestisti. Gianmarco Tamberi e Marcell Jacobs sono un’eccezione e il loro profitto non si avvicina a quello di atleti dello stesso livello in altre discipline. Le soluzioni che aiutano a riequilibrare questa disparità sono poche: «I gruppi sportivi militari in qualche modo hanno possibilità di seguire la loro passione potendo contare su uno stipendio. Anche questo è un modo per potersi allenare ed essere considerati dei professionisti».

Medaglie a peso d'oro

Le leggi del mercato, dunque, pongono dei limiti alla passione sportiva. Il premio, almeno per quest’anno, spetta solo al migliore tra i partecipanti ai Giochi. Un criterio meritocratico che non tiene conto dei sacrifici e della bravura delle altre eccellenze in gara. «Il sistema che hanno inserito adesso non risolve il problema in modo radicale, ma lo argina – sostiene Mei -. Sarebbe bello poter riverberare questa retribuzione anche sul territorio, sulle piccole realtà, sui piccoli campioni che nascono in ogni parte del mondo, ma diventa difficile. La differenza tra sport professionistico e quello dilettantistico sta semplicemente nel giro di interessi che si ha intorno a una singola disciplina».

La carriera degli atleti è breve, ma essere dei campioni di questo calibro implica molte rinunce anche in ambito lavorativo. Parlare di etica in un contesto simile diventa complicato. «Oggi questo concetto di morale è opinabile. Abbiamo spostato il nostro standard di vita e le nostre abitudini. Il senso etico muta con il passare dei tempi e, in questo secolo, lo sport non ha lo stesso valore che poteva avere nell’età antica».

Nell’epoca greca, i giochi mettevano a tacere tutte le guerre sancendo un periodo di tregua sacra, l’ekecheiria, per proteggere i partecipanti. Nel Novecento, invece, sono stati i conflitti mondiali a fermare le Olimpiadi. Pretendere che tutto ritorni al 776 a.C. è innaturale e impossibile, ma l’essenza dello sport non è andata del tutto perduta nel corso dei millenni, si è trasformata con il tempo. «È cambiato il mondo, è cambiata la sensazione dell’etica, è cambiato praticamente tutto. Scandalizzarsi per aver finalmente concesso una remunerazione agli sportivi per i loro sforzi sembra ormai fuori luogo».  

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