Virginia Woolf è viva e vegeta ed è ancora qui fra noi. Un pensiero ovvio per tutti coloro che, folgorati dalle sue opere, le hanno trasformate in una fonte d’ispirazione, in un lavoro, nella propria ragione di vita. Ma lo stesso pensiero, almeno per un attimo, deve aver attraversato la mente di chi, sabato 15 giugno, si trovava nel cortile della biblioteca Goffredo Mameli, in via del Pigneto a Roma, per partecipare a Dallowday 2024.
La manifestazione culturale, organizzata ogni anno dall’Italian Virginia Woolf Society, celebra il giorno in cui Clarissa Dalloway, protagonista di uno dei capolavori più noti della scrittrice inglese, esce per andare a comprare dei fiori in Bond Street, a Londra. «Quest’anno l’evento si tiene per la prima volta in una biblioteca pubblica» sottolinea con orgoglio Daniela Ukmar, direttrice della Goffredo Mameli, «un luogo che sarebbe piaciuto molto a Virginia Woolf, grande lettrice che ci ha parlato spesso del piacere di leggere”.
A prendere la parola in una giornata ricca di incontri sono state studiose, ricercatrici, scrittrici, traduttrici, editor. Donne che hanno travolto con il loro entusiasmo un pubblico costituito per lo più da donne, ahimè. Nel corso della mattinata, sedute all’ombra di due ulivi, alcune di loro hanno approfondito diversi aspetti della produzione letteraria del genio d’oltre Manica. E lo hanno fatto non con l’intento di stupire le proprie ascoltatrici con discorsi complicati, ma con il desiderio di condividere la bellezza e la potenza dei messaggi racchiusi nelle pagine da lei scritte.
«Quell’attimo di giugno ha salvato molte vite perché racchiude in sé un senso profondo da cui è scaturita un’energia cosmica» afferma Monica Farnetti, docente di letteratura italiana presso l’Università di Sassari, facendo riferimento a un famoso passaggio di Mrs. Dalloway. Nel suo appassionato intervento, l’autrice si sofferma sul debito contratto dalle scrittrici italiane con il pensiero e le opere di Woolf e su un tema davvero centrale nelle loro produzioni. «Da Anna Banti a Gianna Manzini, da Goliarda Sapienza a Melania Mazzucco, tutte sono state ispirate da quell’attimo di giugno, cioè dall’abilità di Virginia di mettere in scena un presente denso, sovraesteso, che comprende tutti i tempi della storia» spiega Farnetti. «Con grande lungimiranza Woolf ha mostrato un modo di stare nel tempo e di sapere di sé di cui né la psicoanalisi né la filosofia erano riuscite a dare conto fino a quel momento», continua. «Ha inteso la vita come una forza generatrice che include la morte, considerata non come momento conclusivo ma come un modo per rinascere».
Di tempo “fuori dai gangheri” ha parlato anche Daniela Brogi, giornalista e docente di letteratura italiana contemporanea all’Università per stranieri di Siena, che ha spiegato così il particolare rapporto fra queste autrici e il tempo: «Non è tanto il fatto di essere donne a permettere loro di averne una diversa percezione, ma il fatto di essere femministe. Ogni volta che sviluppano i loro personaggi, non riflettono solo sulla propria vita ma ragionano in temini di storia delle donne». Ecco perché, secondo Brogi, quando si parla di Woolf bisogna pensare ad un Modernismo femminista. La scrittrice inglese non è stata un unicum ma l’astro più luminoso di un’ampia costellazione di narratrici che, anche se spinte nell’ombra dai loro colleghi uomini, hanno portato un contributo originale a questo movimento letterario.
Di lingua e grammatica invece ha parlato Nadia Fusini, anglista e traduttrice di autori come Shakespeare e Beckett per le più importanti case editrici italiane. Insieme ad Anita Pietra, editor dell’Universale Economica Feltrinelli, ha presentato in anteprima Scene di vita vissuta, un libro che contiene due saggi, Uno schizzo dal passato e Sono una snob?, pubblicati postumi dal marito di Woolf. Nel primo caso siamo di fronte a un abbozzo di autobiografia, in cui l’autrice indugia sugli eventi più significativi della propria infanzia e adolescenza. Nel secondo, invece, siamo davanti a un paper, un ritratto pungente e ironico della società del tempo che lesse ad alta voce nel 1936, durante una riunione del Memoir Club.
«Ogni volta che ritorno sui suoi scritti mi sento più libera e capace nel tradurli» racconta Fusini. «Lei spessogioca con la lingua, si serve di associazioni libere. Perciò, a volte, per dire la stessa cosa in italiano è necessario cambiare la frase. Non sempre la letteralità è il modo più giusto per restituirne il significato».
Le traduzioni delle opere di Woolf sono cambiate molto nel corso del Novecento. «Nei decenni scorsi la nostra lingua non aveva le parole per restituire nella loro originalità i suoi testi» spiega l’esperta. «I traduttori tendevano a femminilizzare la lingua, cioè a usare termini ed espressioni che li confinavano nell’angusta categoria di una letteratura solo al femminile. Oggi invece c’è una sensibilità del tutto diversa» conclude.
Come Orlando, uno dei suoi personaggi più sorprendenti, Virginia Woolf continua a vivere nonostante il passare dei secoli e a rimanere un faro per chiunque voglia usare la scrittura, propria o altrui, per indagare i meccanismi alla base dell’esistenza umana.
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