Esclusiva

Giugno 25 2024.
 
Ultimo aggiornamento: Giugno 27 2024
Julian Assange è libero

Il 24 giugno 2024, il cofondatore di “Wikileaks” è stato scarcerato a seguito di un patteggiamento raggiunto con la giustizia americana

«Julian Assange è libero. Ha lasciato la prigione di massima sicurezza di Belmarsh [vicino Londra, ndr] la mattina del 24 giugno, dopo aver trascorso 1901 giorni lì». Così scrive Wikileaks – l’organizzazione internazionale fondata dal programmatore australiano, che riceve in anonimato documenti segreti e li carica sul proprio sito – in un post su X.

Assange, infatti, ha raggiunto un accordo con la diplomazia americana dichiarandosi colpevole di aver ottenuto in modo illegale e divulgato materiale di sicurezza nazionale. Secondo la trattativa, i procuratori chiederanno una condanna a sessantadue mesi, ovvero il tempo passato dall’attivista digitale nel carcere britannico. Questo gli permetterà di tornare in Australia ed evitare la prigione negli Stati Uniti. Il 26 giugno, Assange comparirà in un tribunale delle Isole Marianne Settentrionali, dove un giudice federale ratificherà il patto raggiunto con il Dipartimento di giustizia degli Usa. «L’accordo prevede che il suo periodo detentivo sia ritenuto già scontato nel Regno Unito, quindi lui in realtà è libero perché ha già pagato la sua pena. Questo è il senso di tutto», chiarisce Francesco Cherubini, docente e ricercatore di diritto dell’Unione europea alla Luiss Guido Carli di Roma. 

Nel 2010, Assange era stato accusato di aver violato l’Espionage Act del 1917, con diciotto capi di imputazione, dopo la pubblicazione dell’Afghanistan War Diary, una serie di documenti segreti del Pentagono su crimini di guerra in Afghanistan e Iraq. Nello stesso anno, la giustizia svedese aveva emanato un mandato di arresto europeo nei suoi confronti dopo l’accusa di stupro da parte di due donne, poi caduta in prescrizione.

L’anno successivo, l’attivista aveva ottenuto asilo dall’Ecuador, che lo aveva accolto nella sua ambasciata a Londra. Il governo ecuadoriano gli aveva concesso la cittadinanza, chiedendo all’Inghilterra di riconoscerlo come diplomatico. Tale richiesta è stata rifiutata, portando al mandato di cattura nel 2018 e al conseguente arresto, da parte delle autorità britanniche, nell’aprile del 2019.

Il processo per l’estradizione di Assange negli Usa è iniziato a febbraio 2020, ma non si è mai concretizzato: anzi, ad aprile 2024, il primo ministro australiano Anthony Albanese ha sostenuto una mozione per chiedere il ritorno dell’attivista nel paese natale. «Per quanto riguarda un’eventuale violazione del diritto internazionale, il focus non è l’America, che non lo ha mai detenuto e privato della libertà personale, ma il Regno Unito. Questo perché è legittimo presentare una richiesta di estradizione, come fatto dagli Stati Uniti, ma sta al Paese richiesto, in questo caso il Regno Unito, accertarsi che i diritti fondamentali dell’imputato vengano rispettati secondo il divieto di respingimento», spiega Cherubini.

A marzo, Stella Moris, la moglie di Julian Assange, aveva denunciato le condizioni detentive del marito paragonandole a quelle del dissidente russo Alexey Navalny: «Julian, se non verrà salvato, rischia di finire come Navalny». «Il Regno Unito poteva agire sicuramente in modo diverso. Il problema risiede nella prigionia di Assange, ordinata sulla base di elementi che sono sembrati a tutti abbastanza pretestuosi, senza considerare le condizioni di detenzione che sono state denunciate perché di dubbia compatibilità col diritto internazionale», continua il docente.

In tutto questo tempo le vicende giudiziarie sono state seguite con apprensione anche in Italia: non solo le piazze si sono mobilitate sotto lo slogan #FreeAssange, ma a febbraio Roma – dopo Napoli, Reggio Emilia, Bari e altre città italiane – ha concesso la cittadinanza onoraria al programmatore, su iniziativa del Movimento 5 Stelle.

«Non possiamo sapere se sia tutto davvero finito. Credo che per gli Stati Uniti la questione sia chiusa. Non è escluso che altri Paesi possano agire nei suoi confronti. L’unica cosa chiara è che se il giudice “ratifica” l’accordo, ovviamente gli Usa non potranno procedere due volte, in futuro, per la stessa imputazione», conclude Cherubini.