Esclusiva

Luglio 19 2024.
 
Ultimo aggiornamento: Luglio 27 2024
Borsellino 32 anni dopo, «ma Palermo sia più presente»

Il capoluogo siciliano celebra l’antimafia e commemora la strage di via D’Amelio, seppur con un popolo «più lontano dalla causa»

Ci sono trentatré gradi, ma l’ombra dei palazzi permette a centinaia di persone di restare in via D’Amelio dalle 14.30 fino a sera. Alla fine della strada c’è un palco, sul quale si alternano i familiari di Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina e Walter Eddie Cosina, le vittime della mafia trentadue anni fa. Così tanto tempo dopo, il clima è di rabbia: viene chiesta a gran voce, fra urla e cori, la verità sull’esplosione della bomba che uccise il magistrato e la sua scorta il 19 luglio del 1992. 

Si è trattato del «più grande depistaggio della storia d’Italia» seconda Carolina Varchi, capogruppo in commissione Giustizia alla Camera. Le stesse parole usate dai giudici in una sentenza del 2022, con la quale sono stati prescritti gli investigatori della polizia Mario Bo e Fabrizio Mattei insieme al poliziotto Michele Ribaudo, che hanno indagato sulle stragi sotto la guida di Arnaldo La Barbera e del procuratore Giovanni Tinebra. Fra ricostruzioni sbagliate e deposizioni false, il mistero riguarda la sparizione dell’agenda rossa di Borsellino, nella quale appuntava tutto ciò che stava scoprendo nell’ultimo periodo della sua vita, soprattutto sulla strage di Capaci, in cui venne ucciso il giudice Giovanni Falcone il 23 maggio 1992. 

È per questo che in via D’Amelio appare tutto rosso. Magliette, cappelli e agendine, usate dai presenti come cartellini da sventolare, come se fossero arbitri, in segno di protesta. «Fuori la mafia dallo Stato» è il grido di battaglia, urlato da giovani e anziani. All’inizio della strada, in un cartellone, si legge: «La Corte vi assolve, il popolo vi condanna»; mentre alle spalle ci sono tre ragazzi vestiti da carabinieri che hanno il volto dipinto come dei pagliacci.

«Quelle ferite sono ancora aperte e continuano a sanguinare» per Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, a cui vorrebbe «chiedere scusa per non esser ancora riuscito a ottenere verità e giustizia sulla strage. Gli chiederei perdono per aver aspettato che lo ammazzassero per poter fare anche io la mia parte». La voce è sempre più rotta dall’emozione, ma il tono si alza per mostrare orgoglio e forza. Proprio come quando sale sul palco per leggere la poesia “Giudice Paolo” di Marilena Monti al termine del minuto di silenzio, in cui tanti non sono riusciti a trattenere le lacrime. «Ti giuro che ti faremo giustizia» è la frase finale, seguita da applausi scroscianti. 

Per farlo, l’aiuto arriva da tutta Italia, grazie ad associazioni come il Movimento delle Agende Rosse e La Casa di Paolo, che hanno più di sessanta punti in tutto il Paese per fare il «volontariato della memoria». Il bergamasco Gianni spiega che cosa vuol dire: «Sono cresciuto con le figure di Falcone e Borsellino, e cerchiamo di ricordarli di anno in anno con eventi e incontri. A loro ho dedicato anche delle poesie e a breve gireremo un documentario su Paolo, per far conoscere la persona che è stata. Dobbiamo scioccare i giovani, come è successo con me, per farli avvicinare a queste storie».

Il problema, semmai, è che secondo Antonino Vullo, unico sopravvissuto alla strage, sono i palermitani che si stanno allontanando da queste commemorazioni e iniziative. Si guarda intorno e indica i balconi vuoti, con tono desolato, perché ci sono poche persone affacciate, non abbastanza concittadini di Borsellino. «Questo mi fa tristezza, ma tutti voi che venite da fuori ci date la forza di continuare. Spero che negli anni successivi ci sia una maggiore partecipazione e una maggiore serenità». Perché tutti insieme si potrà raggiungere la verità, un obiettivo che «spetta a tutti noi, ai ragazzi del futuro ed è ciò che meritano i nostri martiri».